editoriali
Charlie contro gli ayatollah
Il settimanale satirico commemora i suoi morti difendendo i vivi in Iran
“È un modo di ricordarci che le ragioni per cui i vignettisti e i redattori di Charlie sono stati uccisi sono purtroppo ancora attuali”. Così scrive il direttore di Charlie Hebdo “Riss” nel numero speciale: trentacinque vignette contro il regime iraniano per l’ottavo anniversario dell’attentato islamista contro la loro redazione. E ancora una volta scoppia un caso internazionale (il ministero degli Esteri iraniano ha convocato l’ambasciatore francese per le “azioni oscene” della pubblicazione). “Mullah, tornate da dove venite” il titolo e un disegno di Coco, sopravvissuta all’attentato, dove l’ayatollah Khamenei ha i capezzoli forati e un completo sadomaso mentre esulta per l’abolizione della polizia morale.
“Il leader supremo, a differenza di Maometto, non è un Profeta, quindi possiamo disegnarlo quanto vogliamo” ha commentato il direttore Riss. In una vignetta, Khamenei indossa un turbante con una miccia accesa (come la famosa vignetta danese), in un’altra un gruppo di atlete iraniane alza la testa della Guida suprema come un trofeo.
Ridicole le proteste iraniane, un regime che ha indetto un concorso di vignette per irridere camere a gas e Shoah in risposta alle primissime vignette su Maometto. Un regime dove si tortura, uccide e stupra per reprimere la rivolta dei giovani. Un regime la cui fatwa di morte contro Salman Rushdie (che non è andata in prescrizione neanche trent’anni dopo, vedi il teatro di New York) fu trovata proprio nel laptop dei fratelli Kouachi, i terroristi di al Qaeda che il 7 gennaio 2015 sterminarono praticamente tutta la redazione di Charlie Hebdo.
Parigi non è Teheran sulla Senna, cari mullah.