editoriali
L'arte vale di più se è fisica? Il caso degli Nft
Lo strano caso delle opere digitali che, dopo un periodo di grande forza, sono ora in caduta libera. E un dubbio antropologico
Non è sempre colpa di Elon Musk, che per avere endorsato un paio d’anni fa gli Nft contribuì a farne decollare la bolla (le doti taumaturgiche di Musk: una mitologia moderno) e poi, roba di questi giorni, si mette a vendere partecipazioni in Bitcoin e li fa precipitare. Non è colpa di artisti globali come Mike Winkelmann, meglio noto come Beeple, il primo artista digitale a vendere le sue opere attraverso gli Nft. Non è colpa di ex ragazzacci come Damien Hirst, che ha sempre maneggiato con pari abilità pennelli e soldi, che un paio di anni fa fu tra i primi a vendere l’esclusiva in formato digitale della proprietà di una serie di opere, bruciando poi con gesto plateale gli originali fisici. Non è colpa di nessuno, ovviamente, ma sta di fatto che – come per le criptovalute, come forse già per qualche eccesso di confidenza economica nelle AI – dopo qualche anno di boom i non-fungible token, gli atti di proprietà e certificati di autenticità delle opera d’arte digitali, stanno andando incontro a clamorosi (mediaticamente) inciampi.
E’ di qualche giorno fa la notizia di un gruppo di investitori in Nft, tra cui varie celebrities come Justin Bieber e Madonna, che ha fatto causa a Sotheby’s per la vendita all’asta, nel 2021, di una collezione Nft. Investimento andato (o gestito?, chiariranno i giudici) così male da giustificare ora un risarcimento richiesto di 5 milioni di dollari. Non è forse colpa di nessuno, ma il fatto è che nell’ultimo anno i Nft hanno costantemente perso valore – dal 30 al 70 per cento rispetto a quanto erano stati acquistati/venduti – una bolla in caduta libera in cui pesano ovviamente tutti i fattori legati ai pasticci delle valute virtuali.
Ma nella loro versione legata all’arte, la crisi è legata anche a un piccolo dettaglio: la difficoltà (psicologica, culturale, oggettiva?) di considerare le opere virtuali e le opere fisiche degli artisti come esattamente la stessa cosa. Forse lo sono, forse lo diventeranno. Ma avere un Damien Hirst nel caveau, o averlo in digitale sul computer, fa ancora molta differenza.