Editoriali
Un film sui soldati russi alla Mostra del cinema di Venezia
La Biennale dell’arte è stata trasformata in un carnevale woke. Ci si indigna "per il silenzio su Gaza” ma vorrebbero che di Israele non si parlasse proprio più.
con il padiglione israeliano rimasto chiuso a fare da set delle proteste per Gaza. Ora un’altra occasione persa a Venezia, stavolta alla mostra del cinema. Mentre non si può vedere il film di Rusudan Glurjidze sulla deportazione dei georgiani dalla Russia, nel frattempo arriva un documentario di una autrice russa che mostrerà la vita dei soldati russi al fronte. In conferenza stampa l’autrice, la russo canadese Anastasia Trofimova, ricorda come, dall’inizio della guerra in Ucraina, tutti i ponti tra la Russia e i paesi occidentali siano saltati: “Sembra che ci sia una incapacità di vedere l’altro. Io ho vissuto per metà della mia vita in occidente e per metà in Russia, amo e rispetto entrambi. Vorrei che questo film fosse, se non un ponte, almeno una cima, una fune da lanciare dall’altra parte per aiutarci a vedere l’un l’altro”.
Carino. Il problema è che queste kermesse culturali rischiano di diventare soltanto dei luoghi dove si censura la libertà e l’occidente e si dà spazio ai regimi che vogliono soffocare la prima e schiacciare il secondo. Al festival del cinema di Venezia si è “indignati per il silenzio su Gaza”, con centinaia di attori e registi che non vorrebbero che si proiettasse il film di Amos Gitai sul carteggio fra Einstein e Freud. Vorrebbero che di Israele non si parlasse proprio più. Sempre in nome della “pace”. Come quella portata dai soldati russi. Vivono in un mondo meraviglioso. Come Greta Thunberg, arrestata durante una protesta all’Università di Copenaghen per chiedere che venissero interrotti gli scambi scientifici per l’elaborazione di tecnologie a favore dell’ambiente. Sono un po’ matti.