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Vita e libertà, ecco le storie dei “Giusti” in lotta contro il fondamentalismo
Dal rapper iraniano Toomaj SalehiIl alla climber Nasim Eshqi. Il libro di Fabio Poletti e Cristina Giudici si basa su una raccolta di storie esemplari di persone che rivendicano la libertà di culto e nel diritto universale a non essere succubi di una teocrazia che impone loro cosa pensare
Di alcune e alcuni di loro ricordiamo il nome, come per Masha Jina Amini, la giovane donna assassinata a 23 anni il 16 settembre 2022 dalla Polizia morale di Teheran per la mancata osservanza della legge sull’obbligo di indossare il hijab. Dalla sua morte sono nate le proteste intitolate al grido “Donna, vita, libertà” che hanno infiammato l’Iran e che, a giorni alterni, hanno interessato anche il distratto o spesso ambiguo occidente. Qualche altro nome e storia è entrato di prepotenza nelle nostre cronache e nel computo delle nostre idee, come quello della giurista londinese e attivista Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003 e antesignana di un grande lavoro di contestazione giuridica del fondamentalismo; o quello di Nargess Eskandari-Grünberg, rifugiata iraniana divenuta sindaca di Francoforte. Alcuni altri sono entrati fugacemente nelle nostre cronache, come quello di Hamed Ben Abdelassem, la guida tunisina che salvò i turisti durante l’attacco terroristico al Bardo di Tunisi. Di altri bisogna scrivere “il Gandhi del Sudan” per provare a far comprendere qualcosa di una personalità importante ma a noi sconosciuta come quella di Mahmoud Mohamed Taha, considerato fra i grandi riformatori contemporanei dell’islam. Di molti però non conosciamo nulla, e non a caso il libro ha una dedica: “Per Masha Jîna Amini e per tutti quelli dei quali non conosciamo neanche il nome”.
Il libro di Fabio Poletti e Cristina Giudici che racconta alcune di queste storie è semplice e insieme potente: sono le biografie di “Giusti” che hanno combattuto e combattono contro il fondamentalismo. Si intitola “Vita e libertà contro il fondamentalismo”, lo pubblica Mimesis con la Fondazione Gariwo - La foresta dei Giusti (318 pp., 20 euro) e prende origine dal lavoro della “Enciclopedia dei Giusti”, che Gariwo produce e aggiorna da anni e alla quale Poletti e Giudici collaborano. L’“Enciclopedia dei Giusti” non è solo una meritoria raccolta di storie esemplari, è una necessaria opera di documentazione e memoria ed è anche un punto riferimento morale ed educativo, utile ad esempio alle scuole. Una sezione è dedicata a donne e uomini (più donne, e pour cause, in questo libro) che oppongono a rischio delle proprie vite una resistenza al fondamentalismo islamico. Dice il Talmud che ogni generazione conosce 36 “giusti” dalla cui condotta dipende il destino dell’umanità. Poletti e Giudici ne hanno trovati di più, 38, senza contare i popoli vittime di genocidi come gli Hazara in Afghanistan o i Rojava nel Kurdistan di cui si racconta in due capitoli e tutti quelli di cui “non sappiamo il nome”. La prefazione del libro è affidata a Younis Tawfik, giornalista, scrittore e poeta iracheno naturalizzato italiano, autore tra l’altro di “L’Isis raccontato da mia madre" (Oligo), una testimonianza diretta anche di molti “rapimenti mirati, di riscatti pagati con il sangue e di omicidi seriali per motivi sconosciuti, a volte di matrice religiosa, ma anche etnica o politica”, notazione importante per ricordarci anche l’estrema complessità delle società in cui alligna o ha preso il sopravvento il fondamentalismo di matrice islamica.
Ma Poletti e Giudici, spiegando senso e metodo del loro lavoro, sono molto chiari nel tracciare il profilo di questi Giusti: “Non lottano contro l’islam, il Corano o gli oltre due miliardi di fedeli nel mondo che professano la religione di Allah e il suo messaggero Maometto. Sono persone che rivendicano la libertà di culto, credono nella pace, nel diritto universale a non essere succubi di una teocrazia che impone loro come vestirsi, cosa pensare, in che modo vivere ed esprimersi”. Ne è nato un “romanzo corale” di cui sono protagoniste innanzitutto le donne iraniane che hanno innescato la rivolta di “Donna vita libertà”. Ma le combattenti di oggi non ci sarebbero, se non ci fosse l’esempio di altre donne e uomini che da decenni, spesso in esilio, hanno seminato e coltivato un’idea di libertà, di democrazia, diritti diverse dal fondamentalismo.
Ci sono nomi che hanno bucato la nostra distrazione, come quello del rapper iraniano Toomaj Salehi, condannato a morte, ma per il quale 460 veterani della guerra con l’Iraq si erano offerti di essere giustiziati al suo posto, tanto per capire la ricchezza della società iraniana; c’è la storia della climber Nasim Eshqi, che vive in esilio perché voleva scalare le montagne iraniane senza essere velata; o la calciatrice afghana Khalida Popal che ha portato in salvo la nazionale femminile del suo paese pochi giorni dopo il ritorno dei talebani e ha fondato l’organizzazione umanitaria Girl Power.
Ogni capitolo è una sintetica biografia, documentata e senza fronzoli, che compone il tassello di un mosaico, o di una carta geografica che va dall’Afghanistan al Mali, dall’Iraq al Qatar, dal Sudan all’Arabia saudita. Ma che ha molte propaggini in Europa e negli Stati Uniti, dove parte di questi Giusti continua a combattere la sua battaglia. Storie anche del passato, come quella di Farag Fada, giornalista, scrittore e attivista che fu assassinato al Cairo per “apostasia” per le sue critiche alla pervasività dell’islam che già allora penetrava la società egiziana. “I corpi vennero trovati il giorno dopo, rannicchiati nell’anticamera del Kurdistan Information Center di Parigi al 106 di rue La Fayette, nel Decimo arrondissement”. Inizia invece così il racconto dedicato a Sakîne Cansiz, vicepresidente del PKK, esiliata, e una delle personalità che più si è battuta in difesa delle donne nella società musulmana. Ammazzata per questo, assieme a due compagne, in ufficio di Parigi da un killer.
Parvaneh Majd Eskandari e suo marito Dariush Forohuar, che hanno combattuto per la laicità del loro paese prima contro lo scià e poi contro gli ayatollah furono assassinati insieme la sera del 22 novembre 1998 all’interno della loro abitazione a Teheran. Aziza Y. al-Hibri è invece celebre nel mondo per avere fondato KARAMAH, Muslim Women Lawyers for Human Rights, un’associazione che ha come scopo l’assistenza alle donne musulmane nei paesi islamici e di formare avvocate musulmane in grado di supportare idee di legislazione moderne e laiche nel campo familiare. Potente il racconto di Homa Darabi, che “piangeva mentre bruciava avvolta dalle fiamme la mattina del 21 febbraio 1994 in piazza Tajrish”. Era diventata “il simbolo di tutte le donne che si battono contro l’integralismo in Iran. e non è forse un caso che la tomba di Homa Darabi, al cimitero Behesth-e Zahra di Teheran, sia uno dei luoghi proibiti della capitale, guardato a vista dalla Polizia morale”. Un libro necessario, che vuole essere una “enciclopedia dei Giusti” perché se ne abbia conoscenza e memoria, ma da cui traspare la passione civile e politica con cui è stato scritto.