Istat, più di una persona su quattro a rischio povertà
Quasi 17,5 milioni di persone in Italia in gravi condizioni di esclusione sociale, con grosse differenza tra nord e sud. Gli obiettivi europei sono lontani
Il 28,7 per cento dei residenti in Italia, oltre una persona su quattro, a rischio povertà o esclusione sociale nel 2015. Nelle ultime stime su condizioni di vita e reddito l'Istat certifica che la quota è leggermente in aumento rispetto al 28,3 per cento del 2014. Il dato è la sintesi di una lieve crescita degli individui a rischio povertà (dal 19,4 al 19,9 per cento) e del calo di quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (da 12,1 a 11,7 per cento). Invariata la stima di chi vive in famiglie gravemente deprivate (11,5 per cento).
La geografia dei dati racconta andazzi completamente diversi in Italia: calo al nord, dal 17,9 al 17,4 per cento, leggero aumento al centro (dal 22,1 al 24 per cento) mentre il Mezzogiorno resta l'area più esposta, passando dal 45,6 al 46,4 per cento. Al sud, in sostanza, quasi una persona su due è a rischio povertà. Le persone maggiormente coinvolte sono quelle che vivono in famiglie con cinque o più componenti: dal 40,2 per cento del 2014 passano al 43,7 del 2015, ma la quota sale al 48,3 (dal 39,4 per cento) se si tratta di coppie con tre o più figli e raggiunge il 51,2 per cento (dal 42,8) nelle famiglie con tre o più minori.
In questo scenario poco lusinghiero, fa pensare la forbice tra ricchi e poveri. Il 20 per cento più ricco delle famiglie percepisce il 37,3 per cento del reddito equivalente totale, il 20 per cento più povero solo il 7,7. La stima Istat si basa sui dati 2014. Dal 2009 al 2014, in particolare, il reddito in termini reali cala più per le famiglie appartenenti al 20 per cento più povero, ampliando la distanza dalle famiglie più ricche, il cui reddito passa da 4,6 a 4,9 volte rispetto a quello delle famiglie più povere.
In generale, nel 2014 si stima che il reddito netto medio annuo per famiglia sia di 29.472 euro, circa 2.456 euro al mese. Considerando l'inflazione, il reddito medio rimane per la prima volta sostanzialmente stabile in termini reali rispetto al 2013: meno 12 per cento, che diventa meno 10 se si considera l'aggiustamento per dimensione e composizione familiare, cioè il reddito equivalente. Sempre nel 2014 si stima che la metà delle famiglie percepisce un reddito netto non superiore a 24.190 euro l'anno, circa 2.016 euro al mese, sostanzialmente stabile rispetto al 2013; nel Mezzogiorno scende a 20.000 euro, circa 1.667 euro mensili. Quanto a “fonte” degli introiti, meglio il lavoro dipendente rispetto a quello autonomo: una famiglia su due dispone rispettivamente di 29.406 euro e di 28.556 euro nel caso di lavoro autonomo; per chi vive di pensione o trasferimenti pubblici, la somma si abbassa a 19.487 euro.
I numeri dell'istituto di statistica fotografano un'amara certezza: nel nostro paese oltre 17,4 milioni di persone sono a rischio povertà o esclusione sociale, dunque gli obiettivi della Strategia europea 2020 sono “ancora lontani”. Entro quattro anni, infatti, l'Italia dovrebbe ridurre le persone della fascia a rischio sotto la soglia dei 12,8 milioni, mentre oggi quel dato è “superiore di 4 milioni 587mila unità rispetto al target previsto”. L'Europa è distante anche in un altro senso, quello della diseguaglianza dei redditi. “Una delle misure principali utilizzate nel contesto europeo per valutare la disuguaglianza tra i redditi degli individui è l’indice di Gini. In Italia assume un valore pari a 0,324, sopra la media europea di 0,310, ma stabile rispetto all’anno precedente”, spiega l'Istat. Nella classifica dei Paesi Ue “l’Italia occupa la sedicesima posizione assieme al Regno Unito”. Distribuzioni del reddito ancora più diverse rispetto a quelle italiane si registrano a Cipro (0,336), Portogallo (0,340), Grecia (0,342) e Spagna (0,346).
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