I cavalli di Troia del Jobs Act
La Cisl, nel 2002 firmataria senza la Cgil del Patto per l’Italia, disse di non aver mai digerito “essere stata abbandonata” da Confindustria e dalla politica. Il governo Berlusconi di allora aveva introdotto mutazioni (solo sperimentali e parziali) all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma già in quell’anno, nelle regioni rosse, la Fiom scatenò una serie di scioperi duri e gli industriali locali accettarono di siglare i nuovi contratti con le vecchie regole. Un anno dopo nessuno s’indignò che il pubblico impiego si rifiutasse di applicare la legge Biagi. Arrivato in Viale dell’Astronomia, Luca Cordero di Montezemolo non rilanciò sulla maggiore flessibilità contrattuale, aperta dal Libro Bianco del giuslavorista bolognese. Ma ora il partito degli imprenditori badogliani rischia di tornare in campo anche contro il Jobs Act.
I primi segnali sono arrivati da Como, dove la Novartis “riassumendo” alcuni dipendenti della controllata Alcon ha concesso ai sindacati di mantenere l’articolo 18, non applicando il nuovo contratto a tutele crescenti. La Cisl si è affrettata a parlare di caso sporadico, ma il segretario della Filctem-Cgil Emilio Miceli, lo considera un precedente: “Un esempio di buone prassi nella battaglia che intendiamo condurre per cambiare il Jobs Act”. E di belle ne vedremo (anzi ne stiamo già vedendo) con l’avvio dei rinnovi contrattuali. Nell’intesa del commercio sono stati stravolti i piani di Poletti sull’apprendistato. Poi è di ieri la notizia che i bancari manterranno il vecchio contratto, con annesso articolo 18, anche se la loro banca viene scissa e ceduta, o fusa in una nuova realtà societaria. Di fronte a questi eventi, si potrebbero sostenere due giustificazioni ragionevoli. Primo: la libertà contrattuale è sacra, e la garanzia di maggiori tutele può essere oggetto di trattative tra impresa e dipendenti. Secondo: la clausola di disapplicazione del Jobs Act sbandierata dai sindacati dei bancari è “tamquam non esset”, nel senso che in alcuni casi di spin-off le regole contrattuali per i lavoratori già oggi restano quelle in essere (senza contare che in caso di fusioni foriere di esuberi si procederebbe a licenziamenti collettivi). Se invece quelli attuali sono cedimenti anti riformatori, una messa in guardia è d’obbligo. Sarebbe inconcepibile, soprattutto da parte della classe imprenditoriale, convincersi di poter scambiare – di fronte all’offensiva mediatico-politica di Landini & Co. – la pax sociale con il mantenimento delle incrostazioni che frenano la crescita.