Nel Def c'è un siluro per i califfi locali
Per i titolari di organi di governo regionali e locali è stabilita l’esclusione dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente”. Sono due righe secche a pagina 25, scheda 15, del Programma nazionale di riforma allegato al Documento di economia e finanza (Def) annunciato lunedì dal governo Renzi. Si tratta della parte riguardante il riordino della Pubblica amministrazione e magari, al di là delle rassicurazioni date per ora alla lobby dei sindaci sul perenne piede di guerra, potrebbe essere per il presidente del Consiglio Matteo Renzi uno dei modi per instillare linfa riformista in un piano un po’ burocratico e minimalista.
La facoltà di rimuovere sindaci e presidenti di regione, combinata con la chiusura delle partecipate inutili e la privatizzazione di quelle in grado di stare sul mercato, nonché con il drastico riordino dei poteri delle regioni specie sulla sanità, toglie ai califfati locali la licenza di sprecare soldi pubblici senza assumersene la responsabilità ma anzi proseguire con il pretestuoso ricatto di tagliare i servizi o aumentare l’Irpef e l’Irap a cittadini e imprese. E’ un meccanismo che ha portato la Sicilia di Rosario Crocetta in una situazione simil-greca, con 7,5 miliardi di debito e 3,2 di disavanzo. O Roma a bruciare 4 miliardi in cinque anni, con Ignazio Marino incapace di ridurre i suoi 62 mila dipendenti, per esempio privatizzando l’Acea, intanto che chiede un miliardo per asfaltare le strade (tappare le buche) in vista del Giubileo. Sono oltre 500 i comuni in rosso cronico, mentre il passivo delle regioni del sud tocca il 20 per cento del pil. Una zavorra che blocca crescita e investimenti. E’ ora che qualcuno paghi, come scritto nel Def, sperando che non resti soltanto un’intenzione cartacea.