La presunzione di colpevolezza su Uber
C’è un pregiudizio negativo contro la sharing economy che le corporazioni e le lobby propalano da tempo. Il pregiudizio è che la sharing economy non è affidabile. Chi, sano di mente, andrebbe in casa di qualcuno che offre la sua abitazione su Airbnb? Perché fidarsi degli autisti di Uber, che sono dei liberi professionisti, con licenza ma poco controllati, dei parvenu, quando c’è un’intera corporazione, quella dei tassisti, che spesso si tramanda il mestiere di padre in figlio? Non sai mai cosa potrebbe succederti, con uno di questi nuovi autisti. Puntualmente, in Europa come in America, gli incidenti sulle vetture di Uber si trasformano in casi mediatici da sfruttare per dimostrare la scarsa affidabilità di questi nuovi attori economici così efficienti e convenienti: dietro c’è la fregatura, dicono i detrattori, non fidatevi.
E’ successo lo stesso a Chicago, quando Maxime Fohounhedo, trentenne autista di Uber, è stato arrestato lo scorso dicembre con l’accusa di aver drogato e poi stuprato una sua passeggera di 22 anni. Il riflesso condizionato è stato lo stesso dell’accusa di stupro dentro a una confraternita dell’Università della Virginia pubblicata su Rolling Stone: presunzione di colpevolezza. Anche il risultato è stato il medesimo: le accuse sono crollate. Nel caso dell’autista di Uber, che si è fatto quattro mesi di carcere, è successo quando il tribunale ha accettato come prova la registrazione di una conversazione (affettuosa, dolce, conclusa con un abbraccio: non certo un dialogo tra stupratore e vittima) che Fohounhedo aveva registrato di nascosto dopo l’incontro, per tutelarsi. Se la sharing economy è affidabile lo si lasci giudicare ai clienti, non ai sensazionalismi.