Messaggi in bottiglia per Confindustria
I dati sulla vendita di auto in Europa segnalano una ripresa generale, che è particolarmente accentuata, nell’ultimo mese, in Italia e che segnala una crescita più che doppia della media nelle vendite europee della Fiat-Chrysler. La battaglia di Sergio Marchionne per mettere l’azienda automobilistica italiana, ora fusa con quella di Detroit, in condizioni di reggere un mercato difficile e competitivo segna così un primo importante risultato. Quelli che lo hanno attaccato per mesi e anni, sostenendo che puntava solo alla sottomissione dei sindacati invece che pensare a investire sui nuovi modelli, dovrebbero ammettere di avere sbagliato completamente l’analisi. Quelli che descrissero la lotta impegnata a Melfi come un attacco all’occupazione meridionale dovrebbero assistere all’incontro che Marchionne avrà nei giorni prossimi con i nuovi assunti in quello stabilimento.
Chi dovrebbe soprattutto riflettere autocriticamente, al di là della Fiom rimasta su barricate ormai superate dai fatti, è il gruppo dirigente di Confindustria, che non ha voluto affiancare la Fiat nella sua rivendicazione vitale di una revisione del sistema delle relazioni industriali che rendeva impossibile il riassetto aziendale e il ritorno alla competitività. La Fiat è stata costretta a uscire dalla Confindustria per poter stipulare con i sindacati moderati (appoggiati nei referendum della maggioranza dei lavoratori) un nuovo contratto che è stato la chiave di volta della ripresa produttiva. Naturalmente sono decisive le tendenze generali del mercato, ma la competitività si dimostra quando si riesce a partecipare con una quota più che proporzionale all’aumento generale delle vendite. La globalizzazione dei mercati è un fenomeno inarrestabile, che contrariamente a quel che dicono le cassandre dell’anticapitalismo ha elevato il tenore di vita soprattutto in paesi che prima erano al livello della pura sopravvivenza. I produttori occidentali, per competere in queste nuove condizioni, devono utilizzare le risorse umane, ideative e tecnologiche più elevate di cui dispongono, senza che criteri obsoleti rendano impossibile la mobilità professionale e la flessibilità nell’impiego della forza lavoro. I fatti hanno dimostrato che l’insistenza su questi fattori ha determinato una crescita che sembrava insperata solo un anno fa. La rappresentanza degli industriali non ha capito allora e fatica a riconoscere ora che il sistema contrattuale vincolistico è diventato controproducente, continua a oscillare tra richieste generiche di rinnovamento e pratica della concertazione burocratica. Anche se il settore e le dimensioni della Fiat sono specifici, la ricerca delle condizioni di competitività è un problema generale dell’industria ed è un peccato che l’organizzazione rappresentativa non se ne renda conto.