Il pozzo delle infrastrutture pubbliche
"Rilanciare le infrastrutture” è il leitmotiv che accomuna il segretario generale della Cgil Susanna Camusso e la Confindustria quale ricetta magica per la crescita e l’occupazione. Non manca mai manca l’ospite, nei talk-show quotidiani, che non predichi maggiore spesa pubblica in strade, ponti e banda larga per sostenere la crescita. Anche la Banca d’Italia, che ha benedetto il finora impalpabile piano Juncker da 300 miliardi di spesa pubblica europea, a volte è parsa stare al gioco, che finché ci si limita alle chiacchiere non costa nulla. Salvo poi, quando si spreca denaro dei contribuenti, incappare nelle censure della Corte dei Conti e dei vari tutori mediatici della legalità. Ma c’è un problema. Anzi un mistero. A sentire i fautori dello statalismo infrastrutturale sembrerebbe che l’Italia che un tempo costruiva autostrade d’avanguardia, ferrovie ad alta velocità, reti telefoniche, porti e aeroporti da fare invidia, tra crisi e indifferenza governativa al bene pubblico (tesi Camusso), da anni non faccia più nulla. Lo stesso piano Juncker dice che in Europa la causa prima del calo del pil sia un crollo di investimenti pubblici di 550 miliardi dopo il 2007.
Questo è forse vero per l’Unione europea nel complesso, ma per noi? Uno studio dell’economista Ugo Arrigo, docente di Economia pubblica all’Università di Milano-Bicocca, pubblicato sul bimestrale Strade in uscita oggi in versione cartacea, nota che l’Istat dal 2004 non rileva più le opere pubbliche. Arrigo dunque procede per analogia con la Francia affine all’Italia per interventismo pubblico, seppure migliore per efficienza, soprattutto nei trasporti. Qui i dati esistono. Dal Comptes des Transports francese risultano nel 2003-2012 investimenti per 104 miliardi, 10,4 in media d’anno. Con i 31 miliardi sostenuti direttamente dalla rete ferroviaria Rff siamo a 135, 13,5 l’anno. Per l’Italia il Conto nazionale dei Trasporti reca un totale di 178 miliardi nel decennio, 17,8 in media d’anno. Cioè 43 in più della Francia, che rapportato al pil dà egualmente il 43 per cento in più. “Ma tenendo conto dell’estensione più che doppia di strade e ferrovie francesi – scrive Arrigo – e al contrario del maggior costo per l’orografia dell’Italia, stimabile nel 30 per cento, noi dovremmo spendere 8,9 miliardi l’anno. Invece abbiamo speso esattamente il doppio. Il tutto a carico del debito pubblico”. Insomma: meno lagne sulla spesa pubblica e più dati ufficiali, please.
tra debito e crescita