Tutte le contorsioni di Squinzi
Giorgio Squinzi, nel suo ultimo discorso da presidente di Confindustria giovedì scorso, ha dato prova di una capacità di contorcersi pari e forse maggiore a quella del serpente di Laocoonte. Non è colpa del timoniere, ma della delicata fase storica attraversata dall’associazione che fatica da tempo a tenere il passo con la modernità, per di più di fronte a un governo che non la ritiene un’interlocutrice speciale. Squinzi ha prima ammesso che non ha nulla da rimproverare al premier Matteo Renzi; effettivamente sono state accolte le richieste del mondo confindustriale con l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con relativo sgravio contributivo per le imprese, e l’indebolimento dell’articolo 18. Poi però ha presentato una nutrita serie di lagnanze al governo – alcune puntuali e di buon senso – argomentando che sono mancati i tagli della spesa pubblica, in particolare riguardo al welfare dove bisognerebbe orientare maggiormente le erogazioni a chi ne ha veramente bisogno. Vorrebbe maggiore concorrenza e una minore intrusione della mano pubblica. Dopodiché, ricevendo una standing ovation dell’Assemblea, Squinzi ha anche criticato la Tasi sulle imprese edilizie che ne colpisce l’invenduto.
Con un’altra contorsione, ha sostenuto che l’attuale governo ha avanzato una “manina contro l’impresa”, inserendo norme che alimentano la cultura anti imprenditoriale nella nuova legge sui reati ambientali e in quella sul falso in bilancio. Ciò è vero, ma cosa non ha funzionato nella pressione lobbistica degli industriali per intervenire su questi ultimi provvedimenti critici? Le contorsioni di Squinzi non riguardano solo il governo, ovvio; Confindustria è in mezzo al guado: non critica, non elogia, ma incoraggia con riserva. Le contorsioni hanno anche a che fare con la Fiat di Sergio Marchionne, neo “protettore” di Renzi. Squinzi ora sostiene che occorre inserire nei contratti collettivi un più forte legame fra salari e produttività, in particolare a livello aziendale. Però vorrebbe che fosse sempre Confindustria a dettare le regole di questi contratti aziendali, mica le aziende stesse in totale autonomia. Fare due parti in commedia è insomma molto difficile, soprattutto quando si procede in ritardo e al traino di aziende, associate oppure no, che preferiscono relazioni industriali moderne.
tra debito e crescita