Leggere Montesquieu al G7
A chi servono le sanzioni commerciali alla Russia? Se Montesquieu fosse ancora fra noi ci spiegherebbe con la sua teoria del “commercio dolce” che le sanzioni, in quanto barriere al traffico internazionale, generano conflittualità e ostilità. Invece lo sviluppo degli scambi fra i popoli crea un nesso fra di loro e genera socievolezza. L’alzata di ponti levatoi, che ha trasformato il G7, precluso ai russi, da un forum di cooperazione tra stati a sede di scontri, ovvero una specie di consiglio di guerra, peraltro non sembra avere avuto finora quegli effetti dirompenti a danno di Mosca che gli esperti di Washington e di Berlino sembravano prefigurare. Infatti, come rilevava ieri il Financial Times, nonostante le sanzioni, le principali multinazionali degli idrocarburi impegnate in Russia, ossia la britannica Bp, l’Italiana Eni e la norvegese Statoil, per non parlare dell’attivissima Shell, in questi giorni hanno accresciuto i loro investimenti e ampliato i loro rapporti contrattuali con le società russe Rosneft e Gazprom nella ricerca ed estrazione di petrolio e di gas. Ciò ha una sua logica, perché la situazione in medio oriente e in Africa settentrionale – e quella nel periclitante Venezuela – inducono a concentrare maggiormente le attività di esplorazione e coltivazione petrolifera in altre aree, fra le quali, appunto, la Russia, che offrono grandi opportunità soprattutto attorno al circolo polare artico ma non solo lì.
Il teorema del commercio dolce di Montesquieu in questo caso è rilevante. Infatti i paesi produttori di petrolio che accettano i rapporti a lungo termine con operatori esteri dotati di tecnologie avanzate si legano con loro in un nesso del quale poi non possono fare a meno. E ciò dà a questi investitori la garanzia che essi continueranno a lavorare lì. Non è pensabile che la Russia, che ha affidato a queste compagnie europee le chiavi dei propri pozzi, possa farci la guerra. Quale carburante potrebbe pompare l’Armata russa nei suoi carri armati? Nel frattempo, le sanzioni hanno generato una svalutazione del rublo che ha effetti opposti a quelli immaginati dagli strateghi delle sanzioni. Così come la Spagna tra il Seicento e l’Ottocento si è deindustrializzata avendo troppo oro da esportare, la Russia rischiava di non realizzare la ristrutturazione della sua industria pesante, che ora prende slancio grazie al rublo svalutato. Leggere i classici serve, anche al G7.