Piccola metamorfosi giudiziaria in corso
Il sequestro oppressivo del cantiere di Monfalcone può diventare la paglia che spezza la schiena del cammello. Per la verità non si tratta di un fuscello, è una pesante trave che intralcia il paese: il potere giudiziario ha assunto tante, troppe funzioni. Il giudice anziché arbitro si fa giocatore, il grande inquisitore era già diventato il grande vendicatore, con il tempo si sta trasformando nel grande fratello. E in molti cominciano a capire – forse per la prima volta – quanto sia pericolosa questa invasione di tutti i campi. Il governo ha rimediato con un decreto d’urgenza per riaprire Fincantieri, ma la protesta si è levata persino dai sindacati, con l’eccezione della Fiom che ha usato i giudici come risolutori di ultima istanza in conflitti di lavoro che non trovavano sbocco nel loro ambito naturale (non è una novità per il sindacato landiniano). A questa immagine di magistrato politicizzato si è appassionato un pretore d’assalto come Gianfranco Amendola procuratore di Civitavecchia artefice del “dissequestro condizionato” dell’aeroporto di Fiumicino.
Replicando a un articolo di Francesco Merlo su Repubblica tiene a precisare, anche a rischio di “sembrare un politico”, che “le esigenze della produzione e del profitto non possono prevalere sul diritto dell’ambiente e della salute” in linea con i suoi colleghi pugliesi che hanno messo a terra l’Ilva. Una riflessione autocritica per la verità si è aperta, proprio in seguito al sequestro Fincantieri, anche all’interno della magistratura. Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ha chiesto di valutare i rischi e le conseguenze invitando i colleghi a studiare le dinamiche dell’economia o almeno ad agire secondo buon senso. Sollecitazione rilanciata dal presidente del Tribunale di Gorizia, Giovanni Sansone, interessato per competenza dal sequestro del cantiere navale di Monfalcone, che pure per oltre vent’anni si è occupato di impresa. Intervistato dal Tg3 regionale si è detto perciò “amareggiato” della scelta alla quale l’ha costretto la Cassazione, auspicando una specializzazione dei giudici i quali non possono più trincerarsi dietro “l’alibi della norma”, senza vedere quel che essa produce in concreto. Ha ragione, a patto di non aumentare una discrezionalità già ampia. Sansone sottolinea dunque una contraddizione la cui origine non è del tutto tecnica o solo culturale, bensì politica.