Il grande affare dell'agonia della Grecia
Con la Cina che svaluta lo yuan minacciando la competitività delle esportazioni europee, l’Europa guarda incancrenirsi la piaga greca. Il terzo bailout rischia di essere ostaggio dei parlamentari tedeschi, riluttanti ad avallare 86 miliardi di nuovi prestiti in tempi rapidi. La preoccupazione del governo greco è di non ricevere il finanziamento entro settimana prossima quando scadrà il limite per restituire i prestiti ricevuti dalla Bce; un’uscita de facto dall’euro-club.
Più le crisi ai confini d’Europa – Ucraina compresa – si acuiscono, più il cancelliere tedesco Angela Merkel acquista consensi. Se i sondaggi di questi giorni si ripetessero alle elezioni politiche del 2017, il blocco di cristiano-sociali e cristiano-democratici avrebbe, con il 43 per cento delle preferenze, la possibilità di conquistare la maggioranza in Parlamento per la prima volta dal 1961. A ripagare in termini elettorali è la linea dura del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che aveva proposto un’uscita temporanea di Atene dall’euro affermandosi come baluardo dei contribuenti tedeschi (e anche europei) di fronte allo storico lassismo dell’Ellade. La Germania ha da sempre invocato, cercato o prodotto soluzioni estreme alle minacce (o alle umiliazioni) esterne. Agitare la Grexit è anche servito a castrare le ambizioni dei partiti europei della sinistra populista. Ma contrariamente alla visione comune, l’intransigenza ha fatto guadagnare a Berlino 100 miliardi in minori tassi d’interessi sul debito dal 2010 al 2015, secondo il think tank Iwh. Che si chiede se “i contribuenti” non abbiano già ricevuto abbastanza.