Insoddisfatti e non tesserati
La Cgil, il più grande sindacato del paese, ha 700 mila tesserati in meno rispetto all’anno scorso, un calo del 13 per cento. Ma non è tutto. Se si vanno a vedere nel dettaglio i dati pubblicati mercoledì da Matteo Pucciarelli su Repubblica, la realtà è molto più tragica di quel meno 13 per cento medio. Il calo più significativo riguarda il Nidil, ovvero il sindacato dei precari, che ha perso quasi il 50 per cento degli iscritti e ormai rappresenta meno dell’1 per cento dei tesserati alla confederazione di Corso Italia. Il calo più lieve riguarda i pensionati dello Spi, che ha perso solo il 4 per cento e con il 55 per cento di iscritti rappresenta la maggioranza assoluta del sindacato di Susanna Camusso. In mezzo ci sono tutte le altre categorie di lavoratori, dal meno 10 per cento della funzione pubblica al meno 24 del commercio, passando per il meno 12 per cento della Fiom di Maurizio Landini.
Forse è solo una casualità temporale, ma il crollo delle iscrizioni al sindacato rosso coincide grosso modo con l’arrivo a Palazzo Chigi di Matteo Renzi che ha interrotto i rituali concertativi celebrati dal governo Letta – dopo la sacrosanta sospensione nell’èra Monti – e ha iniziato a tirare bordate al sindacato a colpi di dichiarazioni, ma anche di riforme: Jobs Act, superamento dell’articolo 18, riforma della scuola e della Pubblica amministrazione, anche se su queste ultime due con il freno parecchio tirato. Un attacco al fortino delle inossidabili certezze sindacali che è stato anticipato sul fronte privato dalla rivoluzione di Marchionne in casa Fiat. Come ha risposto a tutti questi rapidi cambiamenti il sindacato? Parlando di “liberismo estremo”, “modello Thatcher”, “svolta autoritaria”, attentato alla Costituzione e ai diritti dei lavoratori, deportazioni di massa per i nuovi assunti. Ma quando si scende sul terreno delle proposte concrete, le soluzioni proposte sono sempre le stesse: patrimoniale per far ripartire l’economia e sciopero per rilanciare l’occupazione. La favola che servano altre tasse per assicurare la crescita economica o lo sciopero per far assumere persone alle poche aziende che chiedono straordinari, non è credibile come una volta e sono sempre meno i lavoratori disposti a pagare il biglietto per farsela raccontare. All’ennesima fiacca replica il pubblico ha iniziato ad abbandonare la sala.