Lezioni tedesche sull'interesse nazionale
Lo psicodramma collettivo che si sta consumando in Germania per lo scandalo Volkswagen non sembra per ora destinato a trasformarsi in una caccia alle streghe nei confronti della dirigenza di una delle società tedesche più note al mondo. Le dimissioni dell’amministratore delegato Martin Winterkorn, sostituito ieri da Matthias Müller, erano nell’aria (per quanto si siano fatte attendere qualche ora). Sui media italiani è un susseguirsi di analisi moralistiche un po’ vendicative, dall’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea Romano Prodi per cui “la Germania non rispetta le regole che impone” (Messaggero), passando per gli ascoltatori delle radio romane specializzate in calcio che chiedono all’unisono le dimissioni della cancelliera Angela Merkel.
La classe politica tedesca invece sembra più che altro impegnata a correre ai ripari, per evitare – nel nome della comprensibile tutela dell’interesse nazionale – che la frode di Vw si traduca non soltanto in un boomerang per l’immagine e i numeri dell’export tedesco, vero fiore all'occhiello della Repubblica, ma anche in una crisi occupazionale di proporzioni inimmaginabili. E così, se è vero che il Vicecancelliere e ministro dell’Economia socialdemocratico, Sigmar Gabriel, ha definito “del tutto inaccettabile” il raggiro orchestrato da Vw, è altrettanto vero che politica e sindacati tentano di fare quadrato intorno al gioiello nazionale, da sempre coccolato dall'establishment. Come ricorda un reportage apparso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 24 settembre, i cancellieri tedeschi, Angela Merkel inclusa, hanno sempre fatto a gara per mostrarsi vicini alla casa madre di Wolfsburg e questo nonostante gli scandali che l’hanno attraversata nel corso dei decenni. Proprio ieri il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, è apparso particolarmente sensibile alle ricadute di immagine dello scandalo: “Volkswagen deve chiarire al più presto, per evitare che a pagare per la manipolazione dei test sia tutto il settore dell’auto tedesco”, ha dichiarato. Come dire: il caso Volkswagen è un’eccezione, il sistema tedesco è sano e la sua reputazione va difesa anche in momenti difficili come questo. A tale scopo pare orientata anche la commissione di inchiesta istituita presso il ministero federale dei Trasporti, guidata dal cristianosociale bavarese Alexander Dobrindt: fare una stima delle auto eventualmente da ritirare e individuare i colpevoli al più presto. E così il dimissionario Martin Winterkorn è stato già “assolto” dal consiglio di sorveglianza, e in particolare dal suo presidente, il sindacalista Berhtold Huber. Ieri lo stesso consiglio ci ha tenuto a precisare come lo scandalo sulle emissioni sarebbe stato causato da un “piccolo gruppo di persone”. Mentre di riforme delle leggi vigenti e di indennizzi si cerca di parlare il meno possibile. La paura tedesca è che l’inchiesta, che tocca in realtà anche Bosch, possa allargarsi presto ad altri costruttori. Ma dalle élite di Berlino c’è una piccola lezione per noi: fare pulizia nelle industrie strategiche che sbagliano, ok, ma senza autolesionismi. Do you remember Finmeccanica?