Banche popolari in mezzo al Tar
Il Tar del Lazio ha rinviato al 10 febbraio la sentenza “di merito” sul ricorso di soci minori delle banche popolari contro la trasformazione in società per azioni: decisione che non riguarda la riforma governativa, già impugnata dalla regione Lombardia alla Corte costituzionale, quanto le norme applicative della Banca d’Italia. Mentre ha respinto la richiesta “di metodo”, cioè una sospensione cautelativa di quelle norme, riservandosi appunto un più ampio giudizio sulla sostanza. Che il Tar annuncia dunque per febbraio, quando di fatto finirà per sovrapporsi al verdetto della Consulta. Già le banche italiane sono strette tra diktat europei, sottocapitalizzazioni, crediti inesigibili: ecco ora la variabile della giustizia amministrativa. E mai sottovalutarla, per le sue tentacolari competenze e le relative sentenze: in estate il Tar ha imposto al governo di aumentare le assunzioni dei precari della scuola, stabilendo inoltre che possono fare i presidi.
Anni fa del resto fu il Tar della Liguria a dare il via alle danze consentendo ai precari di scavalcare nelle assunzioni chi aveva vinto il concorso. Mentre proprio per assenza di concorso il Tar del Lazio ha avviato la procedura, conclusa alla Corte costituzionale, che ha fatto decadere i dirigenti dell’Agenzia delle entrate. En passant ha poi riallargato i buchi del nuovo Isee, un colabrodo che si cerca di restringere. I Tar sembrano dunque organi legislativi al contrario, imprevedibili e non eletti. E pure numerosi: 32, in quanto alcune regioni ce l’hanno doppio per “vastità geografica”. Matteo Renzi aveva provato a ridimensionarne numero e poteri: missione, pare, fallita. E ora si credono addirittura la Consulta.