Via le catene al contante
L’innalzamento da mille a 3 mila euro del tetto ai contanti, annunciato da Matteo Renzi, non solo semplifica in un certo senso la vita e può essere un buon volano per rilanciare i consumi ma rappresenta una rottura con il luogocomunismo di sinistra a lungo dominante in materia fiscale. Quello, per intenderci, delle “tasse sono bellissime”. Con eccezioni bipartisan: il redditometro e relativo redditest che ci deliziò nel 2012 fu ideato da Giulio Tremonti, applicato in modo abnorme da Mario Monti, oggetto di polemiche su chi lo voleva più strong tra l’ex ministro Vincenzo Visco e l’allora direttore già vischiano dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera. Assieme al tetto ai contanti, realizzava l’utopia della piena tracciabilità di spese, movimenti, stili di vita.
Si suggerì autorevolmente di giustificare allo stato anche le corna e le paghette ai nipoti, finché il redditometro è stato ridimensionato, e ora la banconota non più associata ad attività criminogena. Riabilitazione parziale e al solito con alibi europeo: solo Portogallo, Grecia, Spagna e Francia hanno un tetto, però ci hanno detto che se a Londra e New York paghi cash ti piomba addosso la polizia. Il fatto è che quella del denaro è la stessa criminalizzazione di moda per la ricchezza e il profitto. Eppure i soldi spesi (anche) in contanti in uno smartphone o in un resort producono per la loro parte Iva e benessere; al contrario il proibizionismo ha sviluppato il mercato nero degli euro, spesso inviati oltre frontiera. E l’evasione fiscale non è diminuita.