ario Draghi dopo il meeting del consiglio direttivo della Bce a St Julian, Malta (LaPresse)

Il bazooka di Draghi è ancora carico

Redazione
Il Qe2 non è tabù, fa capire la Bce nella sfida a distanza con la Fed

La credibilità di una Banca centrale si misura sulla capacità di rispettare il suo mandato: per questo utilizzeremo ogni strumento disponibile”. Queste parole di Mario Draghi dopo il direttivo della Banca centrale europea di giovedì, messe in fila all’annuncio che “l’implementazione del Quantitative easing verrà esaminato a dicembre”, trasmettono due sensazioni. La prima: se necessario, la Banca centrale europea amplierà gli stimoli monetari o nella durata, oltre settembre 2016, o nella quantità, aumentando gli acquisti di bond oggi di 60 miliardi al mese, o tagliando ancora i tassi sui depositi presso l’Eurotower. O agendo su tutti i fronti. Seconda impressione: Draghi è più in sella di un anno fa, quando ebbe l’aspra opposizione della Bundesbank e alleati.

 

L’opposizione resta, l’abbiamo descritta negli scorsi giorni sul Foglio, ma è meno forte per le difficoltà della Germania e perché il fronte dell’ortodossia monetaria ha perso qualche pezzo, come Austria e Belgio. Però siamo ben lontani da un’inflazione vicina al due per cento, obiettivo del Qe come segnale di ripartenza dei consumi (l’indice di fiducia è sceso di 7,7 punti, sotto le attese) sia per ridimensionare in termini reali i debiti pubblici. Draghi dà la colpa all’incertezza economica globale, dice che l’inflazione ripartirà “tra il 2016 e il 2017”, anche per il rialzo del greggio. Un discarico di responsabilità? I mercati gli credono: come dimostrano dopo le sue parole la risalita delle Borse, il calo repentino dell’euro sul dollaro e l’abbassamento dello spread Btp italiani-Bund tedeschi sotto quota 100. Gli credono anche a paragone con gli indecisionismi di Janet Yellen, la presidente della Fed. Con la quale assisteremo dunque a una partita a tennis, senza la pallina.

 

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