Il senso di Marchionne per l'Italia
Qui non interessa capire se Sergio Marchionne sia un mago o un imbroglione. Sia detto, per restare nella metafora offerta tempo fa da Massimo Mucchetti, che i bravi prestigiatori sono entrambe le cose quando sanno positivamente stupire. La convinzione da queste parti è che il ceo di Fca sia un manager transnazionale diventato meritoriamente protagonista dell’industria automobilistica globale avendo maturato, dopo la fusione tra Fiat e Chrysler, una visione strategica raffinata di come vanno le cose nelle quattroruote – e che le grandi case debbano un giorno fondersi non lo nega nemmeno Mary Barra di Gm, corteggiata da Marchionne per quanto finora senza risultati. Ma soprattutto siamo convinti che siano oramai in molti a dovere fare pubblica ammenda per gli anni – almeno quattro – di caccia alle streghe con mezzi giudiziari e mezzucci mediatici verso Marchionne sovente dipinto come uno stupratore di diritti umani, dei lavoratori s’intende, dai suoi detrattori.
Sì perché è soprattutto grazie a questo mostruoso “mangia-operai” col pullover residente in Svizzera, buon per lui, che in questo paese la produzione industriale non è deprimente. La flebile crescita di un’altalenante attività manifatturiera registrata dall’Istat a settembre (più 0,2 per cento) deriva infatti dal settore della fabbricazione di mezzi di trasporto che balza nel mese di riferimento del 6,2 per cento e del 23,2 per cento su base annua. Lo stesso vale per le esportazioni, dove beninteso anche altri settori come l’industria di base e la meccanica sono in palla. Parliamo di occupazione e filiere? L’impianto della Fiat di Melfi, tecnologicamente avanzato, è la seconda fabbrica italiana per numero di addetti (7.917, prima è la disgraziata Ilva) e si raccorda con 18 aziende dell’indotto (qui la forza lavoro impiegata sale di 2.500 operai). Non male per un mezzogiorno dove a torto si sente parlare a tambur battente di desertificazione industriale e morte imprenditoriale. Viene dunque naturale chiedere ai Camusso, Landini, Vendola, e altri vari felloni tardo-comunisti, traditori impuniti di un’analisi marxista dell’esistente, se abbiano compreso l’origine dei lampi di vitalità economica che spuntano dalle statistiche. Sappiamo che domandare è inutile perché sono gli stessi personaggi che ora già si lamentano della scarsa attività industriale.