La morte in banca (se vi pare)
Sarà la Consob l’arbitro chiamato a decidere caso per caso sui danni subìti dai 10.350 piccoli risparmiatori (i soli obbligazionisti subordinati) coinvolti dal decreto “salvabanche” confluito nella legge di Stabilità 2016. Lo prevede un emendamento del governo depositato in commissione Bilancio lo scorso venerdì.
Marco Mobili, Il Sole 24 Ore 12/12;
L’emendamento istituisce un “fondo di solidarietà” con una dote iniziale di 80 milioni, 40 dei quali garantiti dallo Stato e altrettanti dal mondo bancario, ma non è escluso che le risorse possano essere riviste al rialzo. Il fondo nascerà all’interno del “Fondo interbancario di tutela dei depositi” (Fitd) e l’accesso sarà disciplinato da un successivo decreto del ministro dell’Economia. Tra i requisiti prevarrà lo stato di indigenza del risparmiatore penalizzato dal salvataggio delle banche e dovrebbe pesare l’Indice della situazione economica equivalente, più noto nell’acronimo Isee.
Valentina Conte, la Repubblica 12/12;
L’operazione ha avuto il via libera della Commissione Europea, la quale ha ritenuto che lo Stato possa assicurare alla bad bank costituitesi un prefinanziamento per fronteggiare i rimborsi pattuiti in seguito all’arbitrato Consob. Tali fondi dovranno essere restituiti una volta concluse le vendite degli asset trasferiti alla stessa bad bank.
Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 12/12;
Come è noto, i risparmiatori coinvolti in questa vicenda sono i possessori di 788 milioni di euro di obbligazioni subordinate (quelle equiparate alle azioni in caso di fallimento) di quattro banche regionali sull’orlo del collasso salvate con un decreto del governo il 22 novembre scorso. Alla base del decreto c’è una direttiva europea (la 2014/59/Ue), quella del cosiddetto “bail-in”, che impone la partecipazione di tutti i portatori d’interessi – azionisti, obbligazionisti e in ultima analisi anche correntisti – al salvataggio di istituti in crisi.
Gianluca Paolucci, La Stampa 11/12;
Gianluca Paolucci: «Non proprio un fulmine a ciel sereno: la direttiva è del maggio del 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Ue il mese successivo, e recepita nel nostro ordinamento con un decreto legislativo del 16 novembre scorso ed entrerà in vigore nella sua pienezza il 1° gennaio 2016».
Gianluca Paolucci, La Stampa 11/12;
Nell’anno e mezzo passato tra l’approvazione della direttiva e il suo recepimento sono accadute anche altre cose. In particolare quattro piccole banche che tutte insieme fanno poco più dell’1% degli attivi del sistema bancario italiano, si trovano in una situazione di crisi della quale non si vede una via d’uscita. CariFerrara e Banca Marche sono commissariate da Bankitalia dal 2013 e il percorso di commissariamento è arrivato alla fine. Chieti ed Etruria sono state commissariate successivamente ma anche per loro vie d’uscite, ovvero un acquirente che si faccia carico del loro risanamento, non si vede.
Gianluca Paolucci, La Stampa 11/12;
Ecco che spunta l’ipotesi di far intervenire il Fondo interbancario di tutela dei depositi. Ovvero, quello strumento finanziato dalle banche stesse che dovrebbe garantire i depositi fino a 100 mila euro in caso di fallimenti. La soluzione prende corpo in estate e Ferrara già in luglio delibera in assemblea l’ingresso del Fondo nel capitale.
Gianluca Paolucci, La Stampa 11/12;
Problema: la Ue ritiene quell’intervento un aiuto di Stato. C’era infatti già un precedente, quello di Banca Tercas. In febbraio, la Commissione Europea aveva comunicato ufficialmente all’Italia che l’intervento del fondo nel capitale della Cassa abruzzese era lesivo della concorrenza, in quanto è vero che il fondo utilizza capitali privati, ma l’adesione è obbligatoria e regolata da leggi statali. Così, mentre a Roma si studia un intervento complessivo per tutte e quattro le banche e a Bruxelles si negozia per avere un via libera, a Ferrara come ad Arezzo, Chieti e Ancona le cose vanno sempre peggio. Da luglio a novembre passano quattro mesi durante i quali la situazione dei quattro istituti si deteriora (vedi anche articolo di apertura del Foglio di lunedì 2 novembre dal titolo: “Quattro banche stanno per fallire”). Si arriva così alla «necessità e urgenza» del decreto del 22 novembre.
Gianluca Paolucci, La Stampa 11/12;
Quel decreto è consistito nell’applicazione di un meccanismo che ha anticipato in parte il salvataggio interno (“bail-in”) che entrerà in vigore dal 1° gennaio, e in parte è ricorso al vecchio salvataggio esterno (“bail-out”) che dal 1° gennaio non sarà più possibile. Il primo aspetto è quello che ha coinvolto direttamente i risparmiatori. Nel decreto si prevede che le azioni (2 miliardi di euro) e le obbligazioni subordinate (788 milioni di euro) siano interamente svalutate Leonardo Becchetti, Avvenire 8/12;
Il secondo aspetto ha coinvolto il sistema bancario. Un fondo di risoluzione finanziato da Unicredit, Intesa e Ubi, a cui si aggiungeranno poi le altre banche con sede legale in Italia e le succursali italiane di banche extracomunitarie, ha versato 3,6 miliardi di euro per ricapitalizzare i quattro istituti che si sono trasformati in quattro nuove banche con un unico presidente, l’ex Unicredit Nicastro. Gli 8,5 miliardi di euro di crediti inesigibili o in sofferenza dei vecchi istituti, che poi sono la principale causa del loro affossamento, sono stati svalutati dell’83 per cento e trasferiti a una bad bank che dovrà cederli a qualche professionista del ramo.
Alessandro De Nicola, Il Foglio 11/12;
Come ampiamente prevedibile, il dibattito mediatico ha concesso poca enfasi all’importanza della parte “esterna” del salvataggio, che è stata fondamentale per evitare che venissero svalutati anche le obbligazioni senior e i conti correnti sopra i 100mila euro. Praticamente, i risparmi investiti in azioni e obbligazioni subordinate non avrebbero subìto migliore sorte senza il decreto “salvabanche” mentre sono stati salvati 6.069 dipendenti, quasi 400 mila correntisti e depositi non garantiti per oltre 11 miliardi.
Renzo Rosati e Alberto Brambilla, Il Foglio 11/12;
Gran parte della stampa e delle televisioni italiane hanno invece sposato la deriva umanitarista del coinvolgimento dei risparmiatori, soprattutto dopo la notizia della morte per suicidio di Luigino D’Angelo, un pensionato 68enne di Civitavecchia, ex dipendente dell’Enel. Secondo molti, a partire da sua moglie, lo avrebbe fatto per aver perso circa 100.000 euro di risparmi investiti in obbligazioni subordinate di Banca Etruria.
Il Post 11/12;
D’Angelo si è ucciso nel pomeriggio del 28 novembre ed è stato trovato poco dopo da sua moglie: ma la notizia è deflagrata dopo due settimane, quando il 9 dicembre il sito Etruria News ha associato il suicidio al salvataggio delle quattro banche. L’articolo di Etruria News parla anche di «qualche problema di salute che tormentava D’Angelo da tempo», senza aggiungere altri dettagli.
Il Post 11/12;
Marco Liera: «Intanto un numero imprecisato di italiani sparsi per il Paese ha beneficiato di supertassi superiori alla concorrenza offerti negli ultimi anni da Banca Marche sul proprio conto di deposito online (chiamato “Deposito Sicuro”!). Anche per la quota non assicurata (>€100k) sono stati salvati (cosa che dal 1° gennaio non sarà più possibile) e per questo il 22 novembre avranno stappato champagne».
Marco Liera, YouInvest.org 10/12;
Alla luce di questi fatti resta ovviamente legittima la preoccupazione: ma depositi e investimenti dei correntisti italiani sono al sicuro? Con le nuove regole, dal 1° di gennaio, non c’è una risposta assoluta: ma un semplice esame dei dati può aiutare a comprendere, al contrario di molti dibattiti, dove siamo e quanto effettivamente tranquilli si possa dormire.
Andrea Greco, la Repubblica 9/12;
Andrea Greco: «Prendiamo i resoconti di giugno delle 13 banche più grandi, quelle a controllo diretto della Bce: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi, Banco popolare, Bpm, Bper, Carige, Popolare Sondrio, Vicentina, Veneto banca, Credem, Valtellinese. È l’80% del mercato nazionale. Le 13 hanno passività aggredibili – dal “bail-in“ – per 1.122 miliardi di euro, più 596 miliardi di depositi sotto i 100mila euro quindi garantiti. Lo spaccato è composto da azioni (123,5 miliardi), bond subordinati (60 miliardi), bond senior (555,6 miliardi), depositi sopra i 100mila euro (328,3 miliardi)».
Andrea Greco, la Repubblica 9/12;
Per capire come future crisi possano impedire di rimborsare questi passivi stimiamo che le banche nostrane perdano il 3% di tutto l’attivo (che è il dato medio visto in Europa in un quadriennio). Ancora Greco: «È una stima un po’ funesta: in realtà le banche italiane hanno perso in quattro anni il 2,4% circa, pari a 55 miliardi (sono 13 miliardi in meno). Se il settore perdesse un altro 3%, si convertirebbe in azioni il 68% dei subordinati, con perdite del 2% la conversione riguarderebbe invece 20 miliardi di quei bond. Dal 5% di perdite in su (pari a 114 miliardi) quei bond iniziano a rarefarsi: il 96% del valore si muta in equity, un 4% si azzera. Se si parla dei bond senior per vedere uno stralcio servirebbe almeno l’8% di rosso in banca (è come se Intesa Sanpaolo perdesse 53 miliardi; e le 13, insieme, 137 miliardi) allora si svaluterebbero un sesto di quei 555 miliardi. Ancor più lontani, dal taglio, tutti i tipi di depositi. Dati alla mano, pare insomma che la crescita patrimoniale in atto da anni nel settore – su input di Bankitalia e Bce – fino a un Cet1 (rapporto tra capitale ordinario versato e la attività ponderate per il rischio) medio dell’11,5%, offra qualche garanzia».
Andrea Greco, la Repubblica 9/12.
Apertura a cura di Francesco Billi
tra debito e crescita