Diavolo di un Rossi
Con lo slogan “Restituite tutto, altro che 100 milioni”, il presidente pd della Toscana, Enrico Rossi, si getta nella mischia della Banca Etruria. Lo fa su posizioni simil-grilline e simil-leghiste, i due partiti attivi nel sostenere la tesi che gli obbligazionisti debbano essere risarciti con soldi pubblici. La gara tra Rossi, Cinque stelle e Lega è un bis di quanto visto nella crisi del Monte dei Paschi: allora però Rossi si schierò con la banca e i dipendenti, anche per tutelare il residuo potere della regione attraverso la Fondazione Mps. I grillini, che governano sul filo del rasoio Livorno, e la Lega, che alle regionali è divenuta secondo partito, portando il centrodestra al successo proprio al comune di Arezzo, non sono i veri concorrenti del governatore. Rossi si definisce “un comunista democratico”, è in tregua armata con il presidente del Consiglio Matteo Renzi ma ha mire politiche nazionali. Né l’attivismo si ferma qui.
Per vendere l’acciaieria ex Lucchini di Piombino, Rossi ha vantato un’offerta (mai decollata) del magnate siderurgico indiano Sajjan Jindal, per non parlare del ridicolo precedente dell’investitore fantasma Al Habahbeh. Poi si è esposto con il tycoon algerino Issad Rebrab. L’affare sarebbe andato in porto a sentire le sirene locali solo che Rebrab ha dei guai con l’establishment arabo del suo paese (lui è berbero) e ha una conglomerata agroalimentare, mica un’acciaieria. Rossi ha garantito personalmente dopo una visita in Algeria. L’altra costante è un welfare regionale che prevede una generosa politica d’immigrazione e un bonus per chi compra bici pieghevoli da portare sui treni. Un’ascesa che passa per l’uso “sociale” di denaro pubblico.