Lo spread tra assurdo e realtà
Martedì il governo italiano che ha amministrato per circa due anni l’acciaieria Ilva di Taranto con risultati pessimi in termini di gestione finanziaria, senza peraltro riuscire a fare tutte le migliorie ambientali al complesso industriale previste dalla legge, ha annunciato attraverso un’inserzione sui quotidiani nazionali e internazionali che metterà in vendita il gruppo siderurgico. La prima azienda manifatturiera nazionale per numero di addetti diretti e indiretti viene insomma offerta a chicchessia, a un privato disposto ad assumersi gli oneri più che gli onori, con una pagina pubblicitaria. Per la prima volta sulla stampa italiana l’Ilva era presente sia tra gli annunci e sia nelle cronache, nelle quali si circostanziava l’azione governativa che avalla la vendita (o l’affitto) degli impianti per decreto. E’ il massimo “spread”, divaricazione abissale, tra finzione mediatica, ovvero propaganda governativa, e realtà. E’ infatti possibile vendere un’azienda per decreto sperando che qualcuno la rilevi? E’ saggio farlo sapendo – ma questo nell’invito a manifestare interesse non viene chiarito – che sull’area a caldo dell’acciaieria persiste il sequestro con facoltà d’uso degli impianti posto dalla magistratura? E’ sensato metterla in vendita senza prima risanarla, come si è deciso su impulso del commissario Gnudi, o era meglio risanarla prima di venderla, come avrebbe preferito il commissario Laghi?
E poi: se già un anno fa nessuno aveva presentato un’offerta formale, ora che la situazione è peggiore perché qualcuno dovrebbe essere interessato? Senza contare che il gruppo Ilva ha dei proprietari (Riva e Amenduni) che sono stati espropriati dalla gestione dallo stesso governo che ora fa – per la seconda volta – il banditore. Nonostante tali caveat, la Cassa depositi e prestiti sta proponendo l’affare ad alcuni imprenditori italiani. Non è peregrina l’affermazione di Michele Emiliano, presidente della Puglia, ex magistrato, a Radio1: la crisi dell’Ilva rischia di essere un Vietnam per il governo Renzi; lo pensano da tempo banchieri e confindustriali. A tale proposito avere pubblicato un bando, con rilevanza globale, non solo costituisce l’implicita e definitiva ammissione dello stato italiano di essere incapace di fare l’imprenditore, ma in un certo senso, ponendo delle scadenze per la presentazione di manifestazioni di interesse, fissa le tappe dell’avvicinamento alla débâcle soprattutto se nessun cavaliere bianco arriverà a prestare soccorso.