Corteo dei metalmeccanici dell'Ilva a Genova (foto LaPresse)

Una reazione fatale

Redazione
Il problema più grande è a Taranto, cuore del gruppo Ilva, ma la protesta esplode a Genova, città tradizionalmente di sinistra dal retaggio resistenziale. La Fiom pare scomposta e poco saggia sul dossier Ilva. Ecco perché

Il problema più grande è a Taranto, cuore del gruppo Ilva, ma la protesta esplode a Genova, città tradizionalmente di sinistra dal retaggio resistenziale. Gli operai liguri dell’Ilva iscritti alla Fiom chiedono un interlocutore governativo per conoscere le prospettive del gruppo e, nel chiedere risposte, da due giorni hanno occupato la fabbrica e bloccato il traffico nel capoluogo ligure dopo avere fatto irruzione nel palazzo comunale l’11 gennaio scorso.

 

Per quanto il governo sia parco di dettagli sulle sorti del primo gruppo siderurgico nazionale, l’escalation del sindacato dei metalmeccanici della Cgil – in passato non esente da colpe, tipo l’appoggio a una “nazionalizzazione” tentata dallo stesso governo e rivelatasi chimerica – ha le caratteristiche di una “over-reaction” dagli effetti perversi. Gli operai chiedono lumi sulla permanenza, in caso di cessione del gruppo a privati, di un accordo di programma che dura da 20 anni e che concede loro un’integrazione ai contratti di solidarietà che nessun altro lavoratore Ilva ha. Intanto stanno facendo perdere commesse di prodotti di alto di gamma, clienti e investimenti, rischiando a breve la fermata dello stabilimento di Novi Ligure. Quel poco che c’è, insomma, rischia di essere così disperso.

 

[**Video_box_2**]La plateale azione di protesta e l’indulgenza mediatica verso il sindacato di Maurizio Landini gonfiano il petto della Fiom che nei fatti però paralizza Genova con 150 lavoratori su 1.250 totali (il 12 per cento del totale). Senza contare che se il motivo – anche legittimo – della protesta è pretendere un interlocutore del rango di un ministro per il tavolo tecnico previsto il 4 febbraio, i rappresentanti nazionali dei metalmeccanici Fiom (Landini), Fim (Bentivogli) e Uilm (Palombella) avevano già incontrato il ministro dello Sviluppo Federica Guidi il 20 gennaio scorso, una settimana fa. Sfortunatamente i moti genovesi non giovano alla difficile ricerca di un compratore per il gruppo, come nelle intenzioni del governo, perché aggiungono, a gigantesche pendenze giudiziarie, finanziarie e legali, anche l’incertezza di una compagine sindacale disunita e all’apparenza soprattutto protestataria.

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