Non piangere sul referendum perforato
Hanno poco da lamentarsi i referendari che vorrebbero abrograre la norma secondo cui le concessioni già rilasciate per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa durino fino all’esaurimento del giacimento. Il referendum proposto dai governatori di 10 regioni e sostenuto dalle lobby ambientaliste non sarà accorpato alle elezioni amministrative per decisione del governo e si terrà il 17 aprile. I referendari lamentano che i cittadini pagheranno milioni di euro in più perché si terranno due consultazioni distinte e non un solo “election day”. Tuttavia la colpa è soltanto loro, anche dello “spreco” prodotto. E’ chiaro che i cacicchi regionali hanno il movente politico di insidiare un governo che voleva superare il potere di veto degli enti locali autorizzando le perforazioni petrolifere vicino alla costa, la zona più ricca di gas in Adriatico.
Senza contare che il governo per disinnescare il referendum – senza riuscirci – aveva già smantellato da sé parte delle innovazioni legislative che aveva prodotto un anno prima; con danno alle compagnie estrattive. L’irlandese Petroceltic, finita nel tritacarne mediatico, ha rinunciato a proseguire le esplorazioni attorno alle isole Tremiti (Puglia) togliendo un altro alibi ai referendari. Scindere la consultazione dalle amministrative è dunque una tattica funzionale a evitare il raggiungimento del quorum. E’ la politica, bellezza. Inoltre non è detto che il “sì” trionfi. Un sondaggio del 2013 di Ipso per Assomineraria, la lobby petrolifera italiana, dice che il 57 per cento degli interpellati era favorevole all’aumento delle attività estrattive, il 32 per cento non voleva aumentarle, e solo il 9 per cento voleva fermarle.