Dove i tedeschi meritano un “nein”

Redazione
Legare il rischio sovrano alle banche stride con l’Unione bancaria

Mentre fa male Matteo Renzi a battibeccare con l’Europa sui decimali di flessibilità, e fa malissimo a non ridurre la spesa pubblica, prima causa del deficit improduttivo che alimenta il debito, fa invece benissimo a dire chiaramente, in Parlamento, che l’Italia porrà il veto alle restrizioni proposte da Berlino all’acquisto da parte delle banche di titoli di stato considerabili come rischiosi. Qualcuno può obiettare opponendo ragioni sia tecniche sia di sostanza.

 

Lo fa Franco Debenedetti in un articolo nel Foglio o chi studia i coefficienti tra patrimonio e attività bancarie, detti di Basilea IV (dopo i non eccelsi risultati dei precedenti trattati intitolati alla città svizzera che hanno lo scopo di ridurre il rischio sistemico). Per i sostenitori della necessaria permanenza di un vincolo esterno è il caso di lasciar lavorare l’euroburocrazia per non infrangere la separatezza tra stati e credito. Ma, al contrario, la libera vendibilità del debito pubblico, che nessuno obbliga le banche a comprare, è interesse nazionale dell’Italia come di ogni altro paese, oltre che elementare difesa del mercato.

 

D’altra parte la tesi opposta è sostenuta dal ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schäuble, e dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che intervengono a lavori di Basilea in corso magari con l’obiettivo di disfare per altre vie l’opera della Bce di Mario Draghi. Loro sì e il premier italiano no? Dal 2007 l’Eurozona ha buttato un decennio nel tentativo di separare, con clausole dirigistiche e su misura, i rischi sovrani da quelli privati; mentre Stati Uniti e Regno Unito con il puro pragmatismo ci impiegavano pochi anni. Ora vogliamo tornare al punto di partenza?

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