Lo schiaffone petrolifero
La Shell saluta l’Italia e se ne va con due miliardi di euro destinati alla ricerca di greggio nel golfo di Taranto tra Basilicata, Puglia e Calabria. La decisione è stata già comunicata al ministero dello Sviluppo economico: la compagnia investirà in paesi con un clima politico, sociale e mediatico più favorevole all’impresa. E’ l’antipasto del referendum contro le trivellazioni nelle acque territoriali promosso per il 17 aprile da dieci regioni, otto di centrosinistra (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Puglia, Sardegna) e due di centrodestra (Liguria e Veneto). Né è servita la capriola del governo che a fine dicembre ha proibito le ricerche nelle 12 miglia marine, dove appunto è il giacimento nel quale doveva operare la Shell e che secondo i geologi ha enormi quantità di greggio, le cui royalty sarebbero andate, assieme all’indotto, a beneficio delle regioni stesse. Bella mossa, sia detto con ironia. Il referendum si farà comunque e gli anglo-olandesi, che appena a ottobre avevano avuto il via libera governativo dopo 35 mesi di attesa, hanno capito l’antifona. I governatori bersaniani Michele Emiliano (Puglia), Mario Oliverio (Calabria) e Marcello Pittella (Basilicata) esultano via tweet pregustando la vittoria dei No Triv da caricare di significati politici, chissà se di risultati. L’ambasciatore britannico in Italia Christopher Prentice aveva detto che sulla ricerca petrolifera l’Italia “si gioca 10 miliardi di investimenti ma le sue lentezze sgomentano il nord Europa”.
A conferma, continua la guerra della Puglia ai gasdotti nel Salento: il Tar del Lazio ha dato ragione al governo sull’approdo del Tap (Trans Atlantic Pipeline) proveniente dall’Azerbaigian e cofinanziato dall’Unione europea; così Emiliano e gli amministratori salentini alzano le barricate contro il raccordo alla rete nazionale assegnato alla Snam, che comporterebbe lo spostamento di 231 ulivi. Però il governatore pugliese chiede la riconversione a gas dell’Ilva di Taranto; come pretende di avere gas se non permette il suo approdo? Il problema di fondo è che le deleghe sull’ambiente vengono sempre più utilizzate dalle regioni per imporre politiche industriali, o politiche tout-court, tutte loro; così come quelle sulla sanità, anziché ottimizzare il servizio, hanno prodotto immani buchi di bilancio proprio dove l’assistenza è peggiore
tra debito e crescita