Miss Inflazione, I presume
La fase dei prezzi stagnanti o in discesa è alla fine nella maggiore economia mondiale, quella americana dove, in febbraio, il tasso di inflazione base – depurato dai prezzi del petrolio e dei prodotti agricoli – ha raggiunto il 2,3 per cento con un sostanzioso aumento di un punto sul livello del febbraio 2015. Anche la deflazione petrolifera appare al termine, poiché, con l’irrobustimento della domanda degli Stati Uniti, il greggio s’è portato sopra i 40 dollari. Comunque, si sta formando una intesa fra i principali paesi produttori per cessare la battaglia ribassista, basata sull’offerta superiore alla domanda.
La Fed si sposta ora verso la riduzione graduale del Quantitative easing, per stabilizzare il tasso di inflazione al 2 per cento. La ripresa americana s’è irrobustita: l’aumento del costo del lavoro dovuto alla riduzione della disoccupazione a livelli molto bassi, viene sterilizzato da aumenti di produttività differenziali nelle industrie di beni di massa. Dunque il Quantitative easing ha funzionato nell’economia americana, caratterizzata da un mercato del lavoro molto flessibile. Questa riflazione fa bene anche all’Eurozona e all’Italia, in primis. Aiuta Draghi a persistere nel Qe e a invocare che la politica monetaria espansiva sia accompagnata da adeguate flessibilità nell’economia reale e da rettifiche dell’eccesso di severità degli stress test adottati per i parametri bancari. Inoltre, il rialzo dei prezzi in dollari comporta per noi un aumento dei costi delle importazioni, anche a tasso di cambio invariato. In aggiunta, l’aumento dei tassi di interesse degli americani rafforza il dollaro. Insomma vale il detto: aiutati Europa, dato che lo Zio Sam ti sta aiutando.