Niente terrorismo sui consumi
La tesi per cui la nuova ondata di terrorismo genera una riduzione della crescita, data la paura che diffonde nelle metropoliti dopo gli attentati, non è affatto scontata. Dai dati sulle vendite pasquali emerge, piuttosto, una modifica nei consumi. Aumentano quelli domestici, si riducono, ma relativamente, quelli fuori casa. Il turismo del fine settimana lascia deserte le grandi città più di prima. Si affollano di più le località di montagna, le piccole città d’arte, le località marittime facilmente raggiungibili in auto o in treno, le seconde case, i borghi e le località poco abitate. Diminuiscono i viaggi in aereo, ma aumentano quelli in treno e in auto e mezzi di linea. L’investimento delle famiglie tende ad aumentare, perché la prima e la seconda casa appaiano come beni rifugio, sia perché riguardano muri domestici, sia perché appaiono sicuri nel lungo termine. Le spese per l’ordine pubblico e la difesa tendono a salire. Gli investimenti di lungo termine di mercato non sono turbati da queste alee, come si nota dalle ultime mosse di Telecom Italia, di Enel, di Vivendi e di Mediaset. Anche la finanza bancaria continua il suo iter di consolidamento. Le spese per le periferie e il decoro urbano degli enti locali e delle regioni dovrebbero aumentare, perché emerge la priorità delle bonifiche dei quartieri malsani.
Si sa che le guerre tendono ad accrescere le spese, le imposte, i controlli, i deficit, i livelli dei prezzi, cioè sono inflazioniste. Anche il terrorismo interno genera deficit e inflazione perché induce ad accrescere le spese sociali e a moderare le imposte. Quello nuovo di origine islamico, dopo il primo choc storico delle Torri gemelle, pare avere più effetti sulla composizione dei bilanci delle famiglie e dei governi, che effetti macro. E, tendenzialmente, appare piuttosto reflazionista.