Fornero, non toccate quella donna
Nel 2015 sono state erogate dall’Inps 92.528 nuove pensioni di anzianità, un aumento del 72,8 per cento sul 2014. L’età di accesso a questo tipo di assegno è di 60,6 anni, rispetto ai 59,1 del 2010. Sono alcuni dati del rapporto pubblicato mercoledì dall’istituto previdenziale, che smascherano (pur senza dirlo esplicitamente) una delle balle più gettonate di questi anni: che la riforma di Elsa Fornero del dicembre 2011 avrebbe reso gli italiani prigionieri della gabbia di lavoratori a oltranza, quasi privati del diritto alla pensione; creando poi una odiosa categoria di deportati sociali, gli esodati. Certo, gli esodati ci sono, e costano moltissimo ai contribuenti (pensionati inclusi): come evidenzia un altro documento dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, questo passato sotto silenzio, intitolato “Il problema degli esodati e le salvaguardie della riforma Fornero”, con la legge di Stabilità 2016 siamo già a sette misure di salvaguardia per un totale, finora, di 196.530 persone e un esborso pubblico di 11,4 miliardi in cinque anni, cioè il 13 per cento del risparmio atteso – 88 miliardi – dalla riforma stessa nel decennio 2012-2021.
Nel 2015 gli esodati sono stati 26.300: dunque solo una minoranza, il 28,4 per cento, dei neopensionati di anzianità. “Allora dove sono gli sconquassi sociali della riforma Fornero?”, commenta con il Foglio l’esperto previdenziale Giuliano Cazzola. Domanda molto attuale visto che oggi Matteo Salvini ha convocato sotto la casa della ex ministro a San Carlo Canavese una manifestazione ad personam, in presumibile favore di televisione e con rischio di tensione non solo verbale. Non solo i pensionati d’invalidità non sono affatto una specie in via di estinzione, e la loro età è di poco più di un anno superiore a quella dell’èra pre-Fornero, ma gli esodati, altra categoria onnipresente nei talk-show, sono passati dall’iniziale condizione di effettivo disagio dovuta all’urgenza del decreto (persone che avevano concordato l’uscita anticipata dal lavoro e si trovavano senza stipendio e senza pensione) a quella di permanente e numerosa specie protetta.
Scrive l’Ufficio di bilancio: “Se la sequenza degli interventi di salvaguardia dovesse continuare emergerebbe con sempre maggiore chiarezza il progressivo cambiamento di obiettivo di queste misure: non un esonero indirizzato in maniera specifica ai lavoratori che si trovano in difficoltà economica negli anni tra la cessazione dell’attività e la percezione della prima pensione, ma una soluzione per mettere al riparo platee più ampie e non necessariamente danneggiate dalla riforma, utilizzando le salvaguardie come surrogato di politiche passive del lavoro o di altri istituti di welfare oggi sottodimensionati o assenti. Questa tendenza rende meno trasparente il disegno delle politiche e le priorità dell’azione pubblica. In aggiunta, si sovrappone in maniera non sufficientemente coordinata al percorso del Jobs Act e alla revisione degli ammortizzatori sociali, cui finisce anche col sottrarre risorse”.
Se si guarda poi al boom delle pensioni di invalidità civile, cresciute in un decennio del 50,5 per cento (e quelle assistenziali del 40,6), e come sempre con record in Calabria, Sardegna, Sicilia e Puglia che ne erogano il doppio di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, e il triplo di Trentino-Alto Adige e Val d’Aosta, i dubbi sull’uso distorto del “disagio pensionati” diventano quasi certezze. “Anche perché – aggiunge Cazzola – si continua sempre a parlare di pensioni inferiori a 750 euro. Ma tra assegni diretti, reversibilità, invalidità e integrazioni, in media a ogni pensionato vengono pagate 1,5 pensioni. Corrispondenti a 16.638 euro l’anno, 1.400 al mese. Non è certo la ricchezza ma neppure la povertà assoluta”.