Cairo alla conquista del Corriere
Nella serata di venerdì 8 aprile, l’imprenditore Urbano Cairo ha annunciato un’offerta per ottenere la maggioranza delle azioni di Rizzoli-Corriere della Sera Media Group S.p.a. (Rcs), uno dei più importanti gruppi editoriali italiani e attuale proprietario del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport [1]. Montanari: «Dopo tre anni Cairo completa quel progetto che aveva in mente sin dall’ingresso nel capitale: conquistare la disastrata Rcs Mediagroup e dimostrare di essere un editore-ristrutturatore-risanatore come ha avuto modo di fare con La7» [2].
«La7 perdeva cento milioni all’anno. Mentre studiavo i bilanci, un giorno, sono stato folgorato da un pensiero. Mi stavo lavando le mani in bagno, ho guardato l’orologio e ho pensato: è passato un minuto. Ecco, ho perso mille euro» [3]. A otto mesi dall’acquisto (era il 2013) La7 raggiunse il pareggio [4].
«È il Corriere il primo quotidiano che legge al mattino? “No. Il boccone migliore lo tengo per ultimo. Quindi comincio da Repubblica”. Chiedo allora quali sono i giornalisti che preferisce. Ed ecco che la lista si compone rapidamente. I nomi gli si accavallano sulle labbra, come una formazione calcistica: “Mario Sconcerti, Aldo Cazzullo, Massimo Gramellini, Michele Serra”. Pausa. “E poi mi piace Aldo Grasso, che è l’ultimo vero critico italiano. Anche se a volte eccede in cattiveria contro le mie star televisive”» (Urbano Cairo a Salvatore Merlo nel 2014) [3].
59 anni, brevilineo, cresciuto ad Abazia di Masio in provincia di Alessandria, trapiantato felicemente a Milano, bocconiano, un nonno commerciante in bestiame e granaglie, il padre agente di commercio, «sempre gioviale, ambizioso, simpatico, alla mano, creativo il doppio» (Antonello Caporale). Riesce a organizzare pensieri e azioni solo camminando: «All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro». «Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare» [5].
Tre anni fa, affacciandosi in Rcs Mediagroup con una quota del 2,8% e un investimento di poco inferiore ai 15 milioni di euro, Cairo aveva annunciato: «Entro in punta di piedi. È solo un piccolo contributo da editore puro. Sono molto legato a Rcs, 18 anni fa cominciai questo mestiere prendendo in concessione la raccolta pubblicitaria di Io Donna e Tv7» [4].
«Internet non lo capisco. Non c’è un modello di business. Non capisco come si fanno i soldi, dunque non me ne occupo. Da internet non si guadagna, eppure i gruppi editoriali aprono siti internet. E sa che succede? Succede che il sito cannibalizza la carta, cioè fa concorrenza al prodotto, quello vero, quello più rifinito, quello con il quale – in realtà – si potrebbero fare i soldi. Questo avviene in Rcs, per esempio. E anche al gruppo Espresso» (a Salvatore Merlo) [3].
Oggi la proposta di Cairo consiste in una Offerta pubblica di scambio volontaria (Ops) che dovrebbe prendere avvio entro 50 giorni al massimo: in pratica vuole scambiare delle azioni della Cairo Communication, la sua principale società, con quelle di Rcs. Il rapporto è di 0,12 a 1, il che significa che per avere un’azione della Cairo Communication (che oggi vale 4,6 euro) servono 8,333 azioni Rcs (che oggi valgono 0,455 euro). In virtù di questo, nella proposta di Cairo la valorizzazione delle azioni Rcs risulta pari a 0,551 euro [6].
Venerdì, sull’onda dei rumors di operazioni intorno al capitale, Rcs ha chiuso sul finale con un balzo dell’11,5% (a 0,455 euro, appunto). Aderire allo scambio (a 0,551) offrirà un ulteriore 17,5%. Ma rispetto al prezzo medio degli ultimi tre mesi (0,549), il premio riconosciuto si abbassa allo 0,5%. E la maggior parte degli azionisti ha il titolo in carico a prezzi ben superiori: fino a gennaio 2013 viaggiava sopra i 4 euro. Dunque per molti significherebbe cristallizzare una dolorosa perdita [7].
Repubblica ha stimato che stando alla sua attuale quotazione in Borsa, Rizzoli vale 287 milioni di euro: l’offerta di Cairo, che già ne possiede il 4,6% ma a titolo personale, riguarda almeno il 50% più una delle azioni (sotto questa soglia non se ne fa nulla), per cui un valore complessivo di circa 140 milioni di euro [1].
Rcs è da tempo in grave difficoltà: ha accumulato quasi mezzo miliardo di debiti con le banche, al momento sono 487 milioni, e le poche boccate di ossigeno sono arrivate dalle dismissioni: prima la vendita delle sedi storiche di Corriere e Gazzetta, poi la cessione di Rcs Libri alla Mondadori [4].
L’attuale azionista di maggioranza è il gruppo Fiat Chrysler Automobiles (Fca), con il 16,7%, ma solo poche settimane fa la famiglia Agnelli ha annunciato di volersi sfilare da Rcs al più presto per puntare, in seguito all’accordo raggiunto a febbraio per aggregare Repubblica-Stampa-Secolo XIX, sul più sano Gruppo Espresso della famiglia De Benedetti. E la decisione della Fiat di mollare finalmente Rcs è stata probabilmente la spinta di cui Cairo necessitava per il lancio dell’Ops. Con gli altri azionisti, alcuni dei quali pare fossero all’oscuro della manovra, le trattative sono appena partite [2].
Secondo alcune indiscrezioni raccolte da Giovanni Pons, sia Diego Della Valle (che è il secondo azionista con il 7,32%) sia Mediobanca (che ha ancora il 6,5%) ma anche Unipol (4,6%) hanno sconsigliato Cairo nell’intraprendere la strada dell’offerta pubblica. Non si conoscono invece le posizioni di Pirelli (4,4%) e della famiglia Rotelli (2,7%) ma è difficile pensare che abbiano fornito un lasciapassare preventivo all’editore alessandrino. Pons: «Certo, Cairo ha fatto bene i suoi calcoli. Il prezzo di scambio offerto è attraente per il mercato essendo ben superiore ai prezzi di Borsa attuali e quindi in grado di attirare l’alto flottante che scorre a Piazza Affari arrivando a superare il 50% anche in mancanza dell’adesione degli altri grandi soci. Sul fronte interno invece Cairo possiede il 73% della sua Communication e se alla sua offerta aderisse anche il 100% del capitale di Rcs la sua quota di controllo verrebbe diluita intorno al 40%. Quota che gli consentirebbe di avere sempre in mano le redini del gruppo» [8].
Con l’azionista principale di Rcs fuori gioco e la società impantanata in una difficile ristrutturazione del debito con le banche, Cairo si è mosso velocemente trovando la sponda di Intesa Sanpaolo che è il principale creditore del gruppo nonché azionista con il 4,17% del capitale. Pons: «Evidentemente Cairo pensa di poter far meglio nella gestione rispetto a quanto non hanno saputo fare gli attuali e precedenti azionisti di Rcs. Cairo si è sempre mostrato critico nei riguardi dell’operato di Pietro Scott Jovane, il precedente ad della Rcs, che ha venduto pezzi pregiati dell’azienda per far fronte a una gestione deficitaria. E sul nuovo piano industriale presentato dall’attuale ad Laura Cioli non si è mai espresso» [8].
«Non è vero che con i giornali non si possono fare soldi. Io li faccio. Ma quando fai un giornale devi parlare al pubblico, devi rendere appetibile il prodotto. E quindi devi pensare con la testa di chi compra, non con la testa dei padroni. Altrimenti la gente se ne accorge. Certe volte ho l’impressione che alcuni editori italiani non siano interessati a vendere. Presidiano uno spazio, per ragioni d’interesse finanziario o politico, per proteggere altre loro attività. I miei mensili e settimanali possono non piacere a qualcuno. Ma fanno utili. E forse li fanno proprio perché sono un editore puro» (a Salvatore Merlo) [3].
Meletti: «L’uomo ha già dimostrato di essere un amante dell’“usato sicuro”. Compra società che sono decotte o quasi e poi, senza colpi d’ala ma con grande costanza, le rimette in sesto, scegliendo manager, direttori e allenatori non esattamente di primo pelo, ma di provata capacità ed esperienza. È successo con il Torino, che ha preso nel 2005 per un pugno di euro dopo il fallimento; è accaduto con l’acquisto di attività editoriali, a partire dalla Giorgio Mondadori. Nella pubblicità, invece, si è fatto da solo o quasi: nel ’95 ha fondato la sua concessionaria pubblicitaria e cinque anni dopo ha quotato in Borsa la sua Cairo Communication» [9].
Cairo, che ha imparato il mestiere da Silvio Berlusconi, si è creato un impero mediatico (ha il 28% di quota di mercato nei periodici come vendite in edicola) e dispone di una cassa di oltre 100 milioni, adesso ha deciso di osare là dove neppure l’ex Cavaliere si permise di fare. Ma perché un editore di media grandezza si lancia in un’operazione più grande di lui? Montanari: «Per la conquista di Rcs ha scelto quali compagni di viaggio, leggasi advisor, Banca Imi (Intesa), Equita Sim di Alessandro Profumo e lo studio BonelliErede. Una scelta di campo nello scacchiere del potere finanziario milanese visto che su Rcs si stavano confrontando due linee di pensiero: quella appunto di Intesa, più aggressiva e decisa a trovare un nuovo socio di riferimento; e quella dell’asse Mediobanca-UnipolSai-Pirelli-Della Valle volta a sostenere l’attuale management. Per questo non è detto che adesso scatti la controffensiva, ossia una contro-opa» [2].
Nel presentare al mercato l’Ops su Rcs Cairo ha detto di voler far leva sulla propria esperienza nell’esecuzione di complesse ristrutturazioni aziendali e sulle competenze maturate nella raccolta pubblicitaria e la capacità di crescita nel settore dei periodici, che gli hanno consentito di mantenere un’elevata profittabilità in un difficile contesto di mercato. L’idea è di realizzare «significative efficienze nella gestione dei costi operativi» di Rcs, «anche semplificando la struttura societaria», per «ristabilire l’equilibrio economico del gruppo» [10].
«Bisogna tagliare, ma con intelligenza. Per esempio io sono contrario ai prepensionamenti. Nei giornali mandano via i giornalisti per fasce d’età. È un’idiozia. Uno lo mandi via perché non lavora, o perché lavora male e c’è uno più bravo di lui. Non perché ha sessant’anni. I giovani hanno energie, ma i più anziani hanno l’esperienza e il mestiere. E i giornali si fanno col mestiere» (a Merlo) [3].
Cairo sottolinea che la proposta da lui avanzata per Rcs consentirà ai soci del Corriere «di divenire azionisti di un gruppo con un miglior profilo finanziario, dotato di una maggiore flessibilità operativa e strategica per sostenere il rilancio di Rcs e la creazione di valore nel medio termine». In particolare, è scritto nella nota, «considerando la posizione finanziaria netta ampiamente positiva di Cairo Communication» chi aderirà all’offerta diventerà socio di una realtà «che, in termini consolidati, presenterà un indebitamento finanziario netto significativamente ridotto» rispetto a quello attuale [10].
E i debiti di Rcs, peraltro, sono una delle condizioni sospensive per il buon esito dell’Ops. Cairo chiede infatti che le banche rinuncino «incondizionatamente a qualsivoglia facoltà di richiedere il rimborso anticipato del debito in ragione del cambio di controllo». E allo stesso modo pone la condizione che l’esposizione del gruppo venga “congelata”, ovvero che le banche creditrici di quei 487 milioni non richiedano rimborsi di alcun importo (fatto salvo l’incasso dalla vendita di Rcs Libri), fino all’approvazione del bilancio 2017. Auspica sostanzialmente la firma di una sorta di accordo di stand still (impedimento temporaneo) [10].
Tra gli aspetti chiave dell’Ops c’è poi la volontà di mantenere quotato il gruppo Rcs: qualora dovesse divenire titolare di una partecipazione nel capitale sociale di Rcs superiore al 90%, si riserverà di valutare se procedere o meno alla ricostituzione del flottante. C’è infine da attendere le autorizzazioni di Antitrust e dell’Agcom ma a prima vista non sembra vi siano motivi di opposizione in quanto il divieto di cumulare televisioni e quotidiani ricade in capo a coloro che controllano più dell’8% del Sic (Sistema integrato di comunicazioni) che attualmente è pari a 17 miliardi. Nei prossimi giorni se ne saprà di più ma intanto Cairo ha già convocato l’assemblea della sua casa editrice per il 12 maggio per deliberare sull’aumento di capitale al servizio dell’offerta pubblica. L’attacco a via Solferino è partito [8].
«Ah, dimenticavo: non ho mai licenziato nessuno» (Urbano Cairo) [5].
(a cura di Francesco Billi)
Note: [1] il Post 9/4; [2] Andrea Montanari, MilanoFinanza 9/4; [3] Salvatore Merlo, Il Foglio 10/5/2014; [4] Giuseppe Bottero, La Stampa 9/4; [5] Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 7/2/2013; [6] MilanoFinanza 9/4; [7] Francesco Spini, La Stampa 9/4; [8] Giovanni Pons, la Repubblica 9/4; [9] Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 19/2/2013; [10] Laura Galvagni, Il Sole 24 Ore 9/4.
tra debito e crescita