Liberare il potenziale degli Airbnb
Chissà se i risultati di Airbnb possono spronare la classe dirigente nazionale, restìa ad abbandonare modelli di business superati dalle manifeste preferenze dei consumatori, a utilizzare le imprese della sharing economy come propulsore di sviluppo economico.
Airbnb, piattaforma di home sharing che connette i viaggiatori con persone che mettono a disposizione i loro spazi abitativi, nel 2015 ha portato 3,4 miliardi di euro (0,22 per cento del pil) all’economia italiana, sostenendo l’equivalente di 98.400 posti di lavoro, ha detto la società nata in California nel 2007. L’anno scorso 82.900 italiani – soprattutto a Milano, complice l’Expo, e a Roma – hanno scelto di dare ospitalità ai viaggiatori guadagnando 2.300 euro a testa in media. In un paese dove la casa, come bene di proprietà, risulta essere più simile a un capitale congelato – con relative imposte a carico – anziché un investimento produttivo, l’uso di Airbnb può modificare il bias nei confronti del mercato immobiliare: chi è già proprietario può scoprire un’opportunità, chi ha la capacità può acquistare uno spazio da cui ricavare una rendita.
Le associazioni degli albergatori che temono Airbnb – un servizio che invece delle obsolete “stellette” indica il gradimento dei clienti con feedback puntuali – non guardano al fatto che gli affari degli alberghi di fascia alta non sono intaccati dall’ospitalità dei cittadini comuni, che magari vivono fuori dalle città. In questo senso, le potenzialità degli Airbnb come piattaforma di attrazione turistica per indirizzare il flusso verso località non battute dal turismo di massa, con relativa possibilità di promuovere le produzioni locali, possono essere enormi.