Pil. Il perché di una variabile dipendente
Nel 2016 si prevede un aumento del prodotto interno lordo (pil) italiano pari all’1,1 per cento in termini reali, un tasso di crescita superiore a quello registrato nel 2015 (più 0,8 per cento). Lo ha comunicato ieri l’Istat. La ripresa c’è ma, oltre a essere per il momento un po’ più lenta di quella prevista dal governo (più 1,2 per cento), è più debole di quella media europea, specialmente se si tiene conto del fatto che il nostro paese parte più indietro rispetto a molti altri, Francia e Germania in primis. Certo, gli aspetti per cui essere un po’ ottimisti non mancano. Per citare l’Istat, “la domanda interna al netto delle scorte contribuirebbe positivamente alla crescita del pil per 1,3 punti percentuali”; “la spesa delle famiglie in termini reali è stimata in aumento dell’1,4 per cento, alimentata dall’incremento del reddito disponibile e dal miglioramento del mercato del lavoro”.
Lo sviluppo assume dunque caratteristiche autopropulsive. Allo stesso tempo, però, “la domanda estera netta e la variazione delle scorte fornirebbero un contributo negativo pari a un decimo di punto percentuale ciascuna”. Ecco il rovescio della medaglia: la finestra di opportunità, come l’ha chiamata più volte il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, si sta richiudendo. La politica monetaria espansiva della Banca centrale europea è ancora lì, ma il rallentamento del commercio internazionale e la possibilità che si riaccendano tensioni sui mercati finanziari sono apertamente presi in considerazione dall’Istat, così come dai principali osservatori. L’unica incognita che il governo può gestire senza alibi è quella domestica: riforme (come la contrattazione aziendale) e sgravi fiscali (come Irpef e Ires) più radicali dipendono soltanto da noi.