La “congiura” dei 60 dollari al barile
La scorsa notte il prezzo del petrolio ha superato i 50 dollari al barile per la prima volta in sei mesi rompendo un’importante resistenza tecnica per il mercato. Molti analisti sostengono che il balzo è motivato da prospettive di miglioramento per l’economia mondiale – intanto al G7 in Giappone si discettava di una nuova crisi in stile Lehman – ma sembrano incerti su quanto questa tendenza durerà visto che il Brent, benchmark del mercato, ha già guadagnato molto dai minimi di inizio anno e basterebbe un vento contrario a sgonfiare tutto. Tuttavia l’impressione tra gli operatori di mercato, i trader e alcuni manager dell’industria petrolifera, è che il prezzo del greggio sia in dirittura per toccare i 60 dollari entro la fine dell’anno.
Ciò darebbe vitalità alla filiera mondiale degli idrocarburi dove sono stati decisi tagli emergenziali al personale, agli investimenti e ai progetti nella prospettiva di prezzi “lower for longer” (più bassi per più tempo) mentre l’attività di fusioni e acquisizioni ha iniziato l’anno nel modo più fiacco dal 2005 con 46 miliardi di dollari in transazioni annunciate su 367 accordi previsti. Coloro che auspicano un rialzo, in primis le compagnie petrolifere che ieri in Borsa hanno guadagnato di riflesso, possono sperare che Goldman Sachs continui a migliorare, come ha fatto a maggio, la sua posizione ribassista sul greggio oppure che si moltiplichino le distorsioni nell’offerta che di recente hanno funzionato da tonico dei prezzi; vedi l’incendio nella regione delle sabbie bituminose in Alberta (Canada) o gli assalti dei miliziani a tubi e terminal in Nigeria che hanno abbattuto il gigante d’Africa. Ogni colpo sembra valido per ambire a quota 60.