Basta propaganda anti Wall Street. Grazie a lei, tanti comprano casa e fanno impresa. Lectio da Harvard
Roma. “Provate a immaginare un mondo senza Wall Street”. E’ l’esercizio mentale che Nitin Nohria, preside della Harvard Business School, ha chiesto di fare prima ai suoi giovani alunni e poi ieri ai lettori del quotidiano americano Wall Street Journal. Risposta di Nohria: a me non occorre troppa fantasia per ipotizzare le conseguenze dell’eclisse della tanto vituperata finanza, è sufficiente qualche ricordo della mia vita in India. Dopodiché Nohria ricostruisce il tentativo di suo padre, nell’India di quarant’anni fa, di abbandonare il ruolo che aveva di manager di primo piano e mettersi in proprio. Tentativo fallito. “Negli Stati Uniti sarebbe stato possibile per qualcuno come lui – con un piano di business valido e un curriculum solido – trovare finanziamenti per avviare un’attività. Ma in India, dove sono cresciuto, al sistema finanziario mancava un meccanismo per prestare denaro a una qualsiasi persona che non avesse da parte già molto collaterale da offrire. Considerato che quelli che avevano già accumulato risparmi appartenevano a famiglie abbienti, il sistema sgretolava i sogni di tutti quegli indiani di umili origini che speravano di diventare imprenditori fatti da sé”.
Il preside della Harvard Business School, nel suo intervento sul Wall Street Journal, mette quindi in guardia i “molti commentatori” che all’indomani della crisi del 2008 “hanno demonizzato Wall Street e il sistema finanziario, bollandoli come forze che rendono peggiore la vita all’americano medio”. Una tesi sottostante a decine di film, serie tv, romanzi e saggi, tra cui per esempio “Makers and takers. La crescita della finanza e la caduta dell’impresa americana” scritto dal giornalista del Time Rana Foroohar. Rivolgendosi a quest’ultimo, Nohria fa notare che “il sistema finanziario globale ha sicuramente mostrato eccessi nel decennio passato, e senza dubbio qualcuno dei suoi protagonisti si è comportato irresponsabilmente. Nonostante ciò, Wall Street rimane fondamentalmente un’impresa che genera valore e ricchezza. L’industria finanziaria è essenziale per la salute economica di un paese, è parte integrante di ciò che rende l’economia statunitense invidiata in tutto il mondo. Molte delle presunte conseguenze della ‘finanziarizzazione’ – come per esempio il declino della manifattura – sono in realtà il risultato di molteplici forze, alcune delle quali hanno poco a che fare con la finanza. I detrattori di Wall Street dovrebbero fermarsi e immaginarsi una vita in un mondo senza un sistema finanziario propriamente sviluppato. Ho visto questo mondo da vicino. L’India della mia adolescenza, un paese privo di una moderna struttura finanziaria, era sclerotica e inefficiente. La crescita economica era fortemente limitata e ciò aveva un impatto diretto sulle vite di milioni di persone a tutti i livelli della scala sociale”. A Wall Street ci saranno anche i cosiddetti “takers”, pronti soltanto a prendere dal portafoglio altrui, “così come ci sono persone che mettono il proprio interesse egoistico sopra ogni altra cosa anche tra avvocati, medici, politici, professori, eccetera. Tuttavia senza Wall Street ci sarebbero anche molti meno ‘makers’”, cioè produttori. La campagna elettorale, in America come in Europa, alimenta la ricerca di “capri espiatori”, conclude Nohria. Ma se è vero che “la soluzione di problemi come la diseguaglianza e la disoccupazione non potrà offrircela soltanto lo stato”, allora “quella della finanza rimane una professione onorevole, e i laureati che si avventurano in questo settore dovrebbero essere applauditi, altro che derisi”.