Pubblico e privato pari ancora non sono
Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd, ha usato argomenti sapienti per moderare le argomentazioni addotte dal ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, quando ella ha sostenuto che l’applicazione della nuova disciplina dei licenziamenti (ovvero il superamento dell’articolo 18) non può valere per il settore pubblico ma solo per il privato. Le polemiche sorgono da una recente sentenza della Corte di Cassazione per cui ai rapporti di lavoro nella Pa non si applicano le modifiche alla disciplina introdotte dalla legge Fornero nel 2012. La Cassazione motiva la sentenza dicendo che non sono state ancora emanate le norme di collegamento che lo permetterebbero: serve una cornice legale affinché in diritto e di fatto possa esistere la parificazione della disciplina del licenziamento tra dipendenti privati e pubblici. Ichino sul suo blog spiega che nella prassi questo problema è superato: pochi mesi fa una sentenza di merito del Tribunale di Rimini e un’altra della Cassazione avevano affermato l’applicabilità della legge Fornero nel pubblico, nonostante l’assenza della normativa di armonizzazione.
Per quanto sia in realtà appropriato avere regolamentazioni che specifichino che cos’è il licenziamento economico nella Pa, Ichino avanza comunque altri argomenti utili al dibatto quando confuta Madia. Innanzitutto il fatto che gli impiegati pubblici siano assunti per concorso e quindi meritevoli di maggiori tutele non è rilevante, dice Ichino, perché “il sistema di assunzione mediante concorso è perfettamente compatibile sia con un regime di marcata stabilità sia con un regime di protezione della continuità del rapporto meno rigido, sia con forme di vera e propria precarietà”. Non si capisce poi perché l’inamovibilità – per dire, un impiegato che non vuole trasferirsi – non dovrebbe essere sanzionabile. “Per esempio, sarebbe molto più facile ottenere lo spostamento di un dipendente da una amministrazione dove non serve a un’altra dove c’è carenza di organici, se si potesse ragionevolmente prospettare la cessazione del rapporto in caso di rifiuto del trasferimento”. Si può poi dire che i dirigenti dovrebbero essere valutati meglio, ciò per evitare che i dipendenti subiscano pressioni politiche ma soprattutto per dare loro la possibilità di licenziare senza contraccolpi personali che, a oggi, scoraggiano scelte razionali.