Mps nella rete eurocratica

Redazione
La banca di Siena è come un pesce in trappola e attende che il suo fato si compia. Tocca a Renzi.

Il groviglio armonioso della politica nazional-toscana di rosso vestita ha oramai ceduto la “sovranità” sul Monte dei Paschi alla grande rete dell’euroburocrazia. La banca più antica del mondo è come un pesce in trappola. Probabilmente non c’è un organo di governo societario che si sente così irrilevante come il consiglio di amministrazione di Mps di questi tempi. Il cda s’è riunito ieri per discutere le richieste arrivate attraverso una lettera dalla Banca centrale europea – che da almeno un anno sta svolgendo verso Mps un ruolo più simile a quello di un fondo attivista che quello di un’autorità di vigilanza – e a vertice in corso gli ispettori dell’Eurotower hanno compiuto un’ispezione nell’istituto.

 

L’ultimo ordine della Bce – comunicato dopo la Brexit mentre giravano voci di un piano di salvataggio statale per il sistema bancario italiano – è di raddoppiare fino a 10 miliardi di euro le dismissioni di crediti problematici, anticipando la tempistica del piano industriale. Il boccino non è in mano a Siena ma rimbalza tra Roma, Bruxelles e Francoforte transitando di tanto in tanto per le forche di Berlino. Matteo Renzi non si era ancora trovato nella situazione di essere obbligato a mettere mano a Mps, già banca del Pd (ma non solo) dalla quale finora si era tenuto lontano. Renzi dovrà occuparsene mentre s’avvicina il referendum costituzionale al quale ha legato le sorti della legislatura. Frangente scomodo. Il paradosso è che la banca ha un patrimonio netto di 9,6 miliardi di euro a fronte di una capitalizzazione di Borsa arrivata a soli 800 milioni dopo la doccia Brexit. Ieri il titolo ha aggiornato i minimi storici: un’azione a 0,2 euro.

 

A questo punto togliere Mps dal listino non sarebbe una corbelleria: perché subire la gragnuola? Mps è facile preda della speculazione – anche a inizio anno dopo l’introduzione del bail-in era stata bersagliata dalle vendite. E’ una preda che sanguina ma nessuno – nemmeno la Bce – sembra fare “tutto quello che è necessario” per levarle l’usta da dosso. Anzi, gli stress test del 29 luglio alimentano la frenesia. Ma pochi riconosceranno che i “test” sono esercizi statistici che descrivono la situazione “virtuale” in cui la banca si potrebbe trovare se tutto dovesse andare male e non la situazione in cui la banca realmente è. Non c’è nulla di peggio per un istituto di credito che subìre continui e ciclici attacchi alla propria reputazione.