Il fallimento dell'Euro, spiegato dal premio Nobel Stiglitz
Secondo l'economista, intervistato dal New York Times, la moneta unica, per come è stata concepita, è stato un tragico errore, un progetto privo delle necessarie basi politiche e di una riflessione approfondita in merito alle sue possibili falle strutturali.
Doveva essere il mezzo per forgiare il senso di comunità e unione tra paesi europei, approfondirne i legami commerciali, erodere i confini nazionali e alimentare uno spirito di interesse collettivo. A 17 anni dalla sua introduzione l'Euro ha invece deluso le aspettative di chi l'ha creato e ha contribuito ad alimentare conflitti e rancori, innescando nuove crisi, contribuendo inoltre ad approfondire gli squilibri economici e la sfiducia reciproca. E' convinto di questo l'economista premio Nobel Joseph Stiglitz, che intervistato da Peter S. Goodman del New York Times ha parlato della sua ultima pubblicazione: "L'euro: come una valuta comune minaccia il futuro dell'Europa " (The Euro: How a Common Currency Threatens the Future of Europe).
Nel suo libro, Stiglitz descrive l'euro come un tragico errore, un progetto privo delle necessarie basi politiche e di una riflessione approfondita in merito alle sue possibili falle strutturali. La moneta unica, afferma l'economista nel corso dell'intervista, è stato un tragico errore, un progetto privo delle necessarie basi politiche e di una riflessione approfondita in merito alle sue possibili falle strutturali: "La creazione dell'euro – sottolinea – è la singola spiegazione più importante della scarsa performance delle economie dell'Eurozona dalla crisi del 2008". Alcuni compresero subito i rischi del progetto, spiega l'economista, ma ciò avvenne perlopiù all'esterno, negli Usa, e le critiche vennero accolte spesso come un attacco ideologico al progetto europeo.
Joseph Stiglitz
Per questo motivo Stiglitz imputa all'euro un aumento delle diseguaglianze economiche tra i singoli paesi e all'interno delle società nazionali: "L'idea era che affinché l'euro funzionasse, i paesi dovevano convergere; vennero formulate queste idee dette criteri di convergenza. Applicarono una pressione enorme ai paesi affinché comprimessero il loro debito e deficit in rapporto al pil. Queste erano giudicate condizioni necessarie e sufficienti a garantire il funzionamento dell'euro".
Esempi come quelli di Spagna e Irlanda, che vantavano allora addirittura un surplus di bilancio e un rapporto debito-pil molto contenuto, "finirono comunque in crisi. Ciò ci insegna una lezione importante: quelli che i creatori dell'euro ritenevano essere condizioni fondamentali (alla riuscita del progetto, ndr), in realtà non lo erano. Dopo la crisi, però, questa lezione non è stata appresa. Si sono invece raddoppiati gli sforzi di implementazione della stessa ricetta, l'austerità".
L'Euro, secondo l'economista, è dunque stato uno strumento funzionale agli interessi particolari. Si prenda a esempio l'obbligo imposto alla Grecia di buttare tutto il latte vecchio di quattro giorni, un obbligo concepito a suo parere per consentire la penetrazione in quel paese dei prodotti caseari tedeschi e olandesi a scapito dei piccoli produttori locali.
Ma non solo. Stiglitz rivolge alla classe dirigente europea accuse più pesanti: il vertiginoso aumento della disoccupazione seguito alla crisi, afferma il premio Nobel, è servito a "spezzare la schiena ai lavoratori" imponendo un abbassamento competitivo dei salari e un cambio delle regole della contrattazione.
L'economista non è però convinto che il referendum britannico per l'uscita dall'Unione Europea e l'avanzata di partiti euroscettici nel Continente possa portare la classe dirigente comunitaria a riconsiderare la filosofia e le ricette che ne hanno guidato le azioni sino ad oggi. "Sfortunatamente, mi sembra piuttosto di assistere a uno sviluppo quasi opposto. Stanno proseguendo a tappe forzate un progetto fallito. E' una linea dura per cui i leader europei, persone come il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, reagiscono alla Brexit affermando: 'Saremo molto duri con il Regno Unito per assicurarci che nessun altro paese lasci'". Si tratta, secondo Stiglitz, di una reazione scioccante: "I cittadini europei dovrebbero chiedere spontaneamente di rimanere nell'Unione in quanto progetto apportatore di benefici, per una loro intima convinzione in una solidarietà europea, perché fiduciosi che (tale progetto, ndr) possa portare loro maggiore prosperità. Qui si stabilisce invece che l'unico modo per tenere insieme l'Ue è minacciando le conseguenze di una eventuale uscita".
La conclusione del premio Nobel, comunque, è che ad oggi lo scenario maggiormente auspicabile per l'Eurozona sia di riformarsi per superare i propri limiti più gravi e garantirsi così la sopravvivenza. Ciò significherebbe, secondo l'economista, realizzare una vera unione bancaria con garanzie comuni sui depositi: qualcosa di simile ai più volte ventilati "euro bond". "La Banca centrale europea non dovrebbe concentrarsi solo sull'inflazione, ma (anche, ndr) sull'occupazione. Su un sistema fiscale che allevi le diseguaglianze. E va superato il limite arbitrario ai deficit dei governi". Se non si riuscirà a procedere in tal senso, avverte Stiglitz, il progetto dell'euro e quello europeo in generale sconteranno altre defezioni sino al loro completo sfaldamento.