Il 2,9 per cento e la battaglia tra Renzi e l'Europa
La strategia politica è chiara, quella numerica lo è un po’ meno. Proviamo a fare il punto per capire cosa c’è dietro la battaglia, un po’ di facciata e un po’ no, che è in corso oggi, a giorni alterni, tra il presidente del Consiglio italiano e le cancellerie europee. La frizione diplomatica registrata venerdì scorso a Bratislava tra Matteo Renzi e la coppia Merkel-Hollande non è legata solo alla superficialità con cui, secondo il premier italiano, l’Europa ha discusso di temi chiave come l’immigrazione e la crescita ma è legata soprattutto a un numero: 1,8 per cento. Nel settembre del 2015, il governo Renzi, in base ai meccanismi previsti dal Fiscal compact, inserì nel documento di economia e finanza la promessa che nel 2017 avrebbe portato il rapporto tra deficit e pil a una quota dell’1,8 per cento (l’anno prima, sempre per il 2017, il rapporto deficit/pil era stimato all’1,1 per cento).
La grande trattativa in corso oggi tra l’Italia e l’Europa – trattativa mediata dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – è finalizzata a rivedere queste percentuali. A Padoan la Commissione europea ha già dato una disponibilità di massima a portare il rapporto tra deficit e pil nel 2017 a quota 2 per cento ma l’intenzione del presidente del Consiglio è forzare ancora e arrivare a un deficit superiore rispetto a quello conseguito lo scorso anno (2,3) ma inferiore alla soglia del 3 per cento. L’obiettivo di Renzi – non condiviso da Padoan – è portare il rapporto tra deficit e pil a quota 2,9 per cento anche a costo di rischiare l’apertura di una procedura di infrazione. Un punto in più di pil a disposizione sarebbe un colpo da 18 miliardi e darebbe la possibilità a Renzi di lavorare su una manovra che non sia solo focalizzata sull’ordinaria amministrazione (solo le clausole di salvaguardia valgono 15 miliardi di euro) ma che sia finalizzata anche a un’operazione di espansione. Sarebbe un sogno se invece che rincorrere i decimali della flessibilità Renzi si occupasse di più nel rincorrere i miliardi che si potrebbero tagliare non solo con una revisione ma con un taglio della spesa pubblica. Ma se la partita con l’Europa di Merkel e Hollande si gioca anche su questo punto, osare sul deficit – più per varare riforme strutturali che per portare avanti riforme elettorali – potrebbe essere una carta utile da spendere.