Mario Draghi 3.0
All’inizio fu il Mario Draghi 1.0, quello del Quantitative easing, l’allentamento monetario, “whatever it takes”. Poi il Draghi 2.0 che invitò i governi a fare le riforme, alle quali ora aggiunge “la risposta alle attese dei cittadini in termini di immigrazione, sicurezza e difesa”, cioè contrastare i populismi con i fatti. Da qualche settimana un’altra agguerrita versione 3.0 del presidente della Banca centrale europea batte su un nuovo tasto: le inefficienze degli istituti di credito di qua dall’Atlantico. “Hanno un problema generale di redditività”, ha detto ieri Draghi all’Europarlamento. “Sono troppe, con duplicazioni di management, e soprattutto hanno un rapporto tra costi e redditi molto più alto che nel resto del mondo”.
I banchieri che si lamentano sempre dei tassi a zero, ha aggiunto, non sviluppano un modo diverso di fare utili, “eppure questi tassi esistono in tutto il mondo”. David Folkerts-Landau, capo economista della Deutsche Bank (Db), ha accusato Draghi di “azioni disperate”. Bordate non nuove da parte tedesca, benché il capo della Bundesbank Jens Weidmann abbia almeno in parte rinfoderato le proprie critiche. Ieri, mentre Db toccava l’ennesimo minimo storico rinfocolando le voci, smentite, di un salvataggio pubblico, Draghi ha ripetuto che “non risponderò mai a nessuna singola banca”. Ma ora bisogna prenderne atto: c’è in Europa un problema di banche e banchieri (non tutti, certo) che potrebbe divenire un rischio sistemico come dieci anni fa negli Stati Uniti. Le difese corporative non servono. Ne sono consapevoli le Banche centrali, compresa la Banca d’Italia. Soprattutto se ha deciso di occuparsene Draghi.