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Conferenza stampa dopo l'incontro tra governo e sindacati sulle pensioni e sul lavoro. Annamaria Furlan, Susanna Camusso, Carmelo Barbagallo (foto LaPresse)
Pensionare la “strategia della pensione”
Mettere sei miliardi di soldi pubblici sulle pensioni era una priorità? Magari per recuperare al referendum il consenso di Cgil e sinistra Pd? Non ci sfiora l’idea di moraleggiare sull’uso politico delle azioni di governo: così funzionano le democrazie (vedete gli Stati Uniti), e certo non consideriamo mance elettorali, anzi, né gli 80 euro né gli incentivi alle assunzioni. Per le pensioni è diverso. Produttività, giovani, riduzione delle tasse meritavano più attenzione e fondi di quanto da mesi si riserva ai pensionati, categoria che ha visto i redditi mantenere il potere d’acquisto aumentando i risparmi.
Però la riforma Fornero è diventata un bersaglio mediatico, benché allinei l’uscita dal lavoro alla media europea e faccia risparmiare ai contribuenti 80 miliardi in dieci anni senza gettare nessuno nell’indigenza e nello sfinimento; dunque pare fatta apposta per smantellarla la “strategia della pensione”, stillicidio di salvaguardie agli esodati, anticipi, eccezioni per lavori usuranti e precoci, e appuntamento all’anno prossimo. Bene, ora con le pensioni chiudiamola qui. E dedichiamoci agli under 35 che stanno peggio, magari finanziando il merito e la selezione nelle università e nelle scuole, o imitando i mini-jobs tedeschi come ponte verso il lavoro. E iniziamo sul serio l’attesa (e molto propagandata) riduzione fiscale. Lo dicono anche i sondaggi: per l’ultima rilevazione Ipsos il 60 per cento degli italiani è convinto che le tasse aumentino, non diminuiscano, così come pensa che la crisi economica non sia passata. Con questa percezione delle cose non si consuma, non si produce e non si assume. Ci si ferma.