(foto LaPresse)

L'euro è solo un castello di carte, dice uno dei padri della moneta unica

Redazione

Otmar Issing, il “padre fondatore” della politica monetaria della Banca centrale europea, sulla rivista Central Banking torna a scommettere sul crollo della moneta unica. E Francesco Giavazzi, dalle colonne del Corriere della Sera, invita a non “distrarsi pericolosamente”.

“Un giorno, questo castello di carte crollerà”, ha detto Otmar Issing, intervistato questo fine settimana dalla rivista Central Banking. L’economista tedesco è considerato il “padre fondatore” della politica monetaria della Banca centrale europea, di cui è stato il primo capoeconomista, ed è noto anche per le sue posizioni “ortodosse”. Cosa succederà nei prossimi mesi? “Realisticamente assisteremo al tentativo di cavarsela vivendo alla giornata, passando da una crisi all’altra. E’ difficile prevedere quanto a lungo questa situazione possa continuare, ma certo non potrà durare all’infinito”. In tempo di trattative tra i governi nazionali, come quello italiano, e la Commissione europea sulle rispettive leggi finanziarie, Issing osserva che un eccesso di lassismo fiscale da parte dell’esecutivo europeo dimostra che “il moral hazard è eccessivo”.

 


Otmar Issing (immagine di Youtube)


 

La Banca centrale europea, con le sue politiche espansive (anche non convenzionali), ha contribuito a placare lo spread, ma Issing non manca di criticare anche i suoi ex colleghi: “La Bce ora sta acquistando corporale bond che sono vicini a una qualità di livello spazzatura”. Questo pone l’istituto guidato da Mario Draghi su “un piano inclinato”. Inoltre tanto interventismo cancella la “disciplina di mercato” che teoricamente i mercati finanziari dovrebbero esercitare nei confronti dei paesi troppo spendaccioni o poco riformatori: “Quindi non esiste alcune meccanismo di controllo fiscale, che sia da parte dei mercati o della politica”. In realtà già si è iniziato a parlare della fine del Quantitative easing, o allentamento quantitativo, allo stato attuale programmata per la primavera del 2017: “Un’uscita dal Qe è sempre più difficile, visto che le conseguenze potrebbero essere disastrose”. Issing è sempre stato critico delle politiche di salvataggio messe in campo in questi anni, fin da quello che considera il “peccato originale” commesso in Grecia nel 2010, figurarsi dunque se oggi – pur non essendo in linea di principio contrario agli Stati Uniti d’Europa – possa vedere una via d’uscita nel progetto di maggiore integrazione e unione fiscale che alcuni leader propongono ma auspicando che sia realizzato “di nascosto”, o “by the back door”.

 

Se quella di Issing è la posizione di un europeista con una cultura di classica matrice ordoliberale tedesca, non è detto che gli europeisti liberali italiani siano automaticamente più ottimisti. Domenica, sul Corriere della Sera, il bocconiano Francesco Giavazzi ha scritto un editoriale così intitolato: “Distrazioni pericoloso sull’Europa”. Ecco l’incipit: “Dopo il referendum italiano l’Europa entrerà in una lunga apnea. Un intervallo che durerà un paio d’anni, il tempo necessario per votare in Francia e Germania, nel 2017, e poi formare nuovi governi, con un negoziato che, a Berlino, potrebbe non essere facile. In questo periodo i temi politici al centro dell’attenzione saranno domestici, mentre su quelli europei regnerà una grande calma.

 

Ma non perché l’Europa avrà risolto i suoi problemi: “L’inevitabile cancellazione del debito greco verrà solo rimandata, il Portogallo, oggi il Paese più debole dell’Ue, rimarrà in bilico, di completare l’unione bancaria non si parlerà più, né di riscrivere le regole per i bilanci pubblici che lo stesso presidente Juncker giudica ormai superate. In questi due anni i contrasti fra i governi nazionali e la Ue verranno sopiti, le leggi Finanziarie approvate, anche se non proprio in linea con le regole di Bruxelles. Le banche non falliranno: se necessario si troverà un modo per salvarle con denaro pubblico. Questo lungo periodo di calma apparente si concluderà nel 2019 con due appuntamenti: l’uscita definitiva della Gran Bretagna dall’Ue e, a fine giugno, la scelta del successore di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea".

 

Giavazzi conclude con un messaggio diretto, e non del tutto rassicurante, alla leadership italiana: “L’effetto anestetico dei due anni di calma apparente che ci aspettano può indurci a dimenticare questi problemi, a lasciare che altri studino e preparino le soluzioni. Dopo il referendum del 4 dicembre, qualunque sia l’esito del voto, si aprirà la campagna per le prossime elezioni politiche che, è facile prevederlo e anche comprensibile, si giocherà tutta su temi domestici. Se così facessimo, io temo che nel 2019 ci attenderebbe un brusco risveglio, con la possibilità concreta di essere costretti ad abbandonare se non le istituzioni europee, almeno il loro nuovo nocciolo duro.

 

A quel punto, ancora una volta, dovremmo rimproverare solo noi stessi. L’effetto anestetico dei due anni di calma apparente che ci aspettano può indurci a dimenticare questi problemi, a lasciare che altri studino e preparino le soluzioni. Dopo il referendum del 4 dicembre, qualunque sia l’esito del voto, si aprirà la campagna per le prossime elezioni politiche che, è facile prevederlo e anche comprensibile, si giocherà tutta su temi domestici. Se così facessimo, io temo che nel 2019 ci attenderebbe un brusco risveglio, con la possibilità concreta di essere costretti ad abbandonare se non le istituzioni europee, almeno il loro nuovo nocciolo duro. A quel punto, ancora una volta, dovremmo rimproverare solo noi stessi”.

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