Un castello di carte chiamato “euro”
Un giorno, questo castello di carte crollerà”, ha detto Otmar Issing, intervistato nel fine settimana dalla rivista Central Banking. L’economista tedesco è considerato il “padre fondatore” della politica monetaria della Banca centrale europea, di cui è stato il primo capo economista. Cosa succederà nei prossimi mesi? “Realisticamente assisteremo al tentativo dei leader dell’Eurozona di cavarsela vivendo alla giornata, passando da una crisi all’altra. E’ difficile prevedere quanto a lungo questa situazione possa continuare, ma certo non potrà durare all’infinito”. Issing critica sia la Commissione europea, per il suo lassismo fiscale, sia la Banca centrale europea. Quest’ultima, con le sue politiche espansive, secondo Issing si è posta su “un piano inclinato”. Tanto interventismo cancella la “disciplina di mercato” che teoricamente i mercati finanziari dovrebbero esercitare nei confronti dei paesi troppo spendaccioni o poco riformatori.
Allo stesso tempo “un’uscita dal Qe è sempre più difficile, visto che le conseguenze potrebbero essere disastrose”. Alla posizione di Issing, che è quella di un europeista con una cultura di classica matrice ordoliberale tedesca, si può affiancare quella di un altro economista quotato in Germania come Hans-Werner Sinn, espressa in una intervista alla Welt. Il titolo è tutto un programma: “Tra poco l’Italia non riuscirà più a resistere nell’euro”. Svolgimento: “Il progetto dell’euro è fallito: doveva portare la pace, invece ha creato tensioni tra i paesi europei. Nel sud dell’Europa ha prodotto una bolla creditizia inflativa che scoppiando ha messo in crisi le economie. Oggi la disoccupazione è elevatissima e la gente è delusa dell’euro. Al contempo, i creditori del nord sono irritati di dover sostenere il sud con transfert e fondi di salvataggio”.
Hans-Werner Sinn (immagine di Wikipedia)
Continua Sinn: “La probabilità che l’Italia continui a farne parte cala di anno in anno. Il paese non riesce a gestirsi con l’euro. L’economia italiana non è competitiva e negli ultimi dieci anni non ha fatto sforzi per diventarlo. (…) Dal 1995 i costi di produzione italiani sono rincarati del 42 per cento rispetto a quelli tedeschi. I prezzi dovrebbero scendere, ma non succede nulla: in Italia si parla tanto, ma non si agisce. Non sono favorevole all’uscita dell’Italia, tutt’altro! Ma per farla rimanere servirebbero condizioni completamente diverse da quelle attuali. I dubbi dell’establishment italiano sull’euro continuano ad aumentare. Berlusconi aveva avviato già nel 2011 trattative riservate per far uscire l’Italia dall’euro, perché lui e altri rappresentanti dell’economia non vedevano alternative”. Quelle di Issing e Sinn sono opinioni autorevoli, da ponderare, ma in questa fase puntano soprattutto a delegittimare Mario Draghi e il suo lavoro alla Banca centrale europea. La battaglia per chiudere i rubinetti del Quantitative easing è iniziata, Roma farà bene a seguirla con attenzione.