La condizione occupazionale degli over 50 è più favorevole di quella dei giovani
Roma. I dati sul mercato del lavoro non sono sempre bianchi o neri. Lo scenario che emerge dagli ultimi numeri sugli occupati diffusi giovedì dall’Istat mostra due facce a seconda di come lo si legga. C’è una lettura superficiale che può apparire contraddittoria poiché si concentra sull’aumento degli occupati e parallelamente di quello dei disoccupati. Andando in profondità però si possono cogliere dinamiche molto diverse e più interessanti.
La crescita degli occupati innanzitutto è un dato di poco conto, in quanto la cifra di 45 mila persone che hanno trovato un lavoro nel mese di settembre è composta dai 56 mila lavoratori autonomi in più mentre i lavoratori dipendenti sono diminuiti di 10 mila unità. Un dato su cui influisce sicuramente la stagionalità, ossia la ripresa autunnale che spesso si accompagna all’apertura di nuove attività commerciali, oltre che l’andamento altalenante che continua ormai da oltre un anno. Allo stesso modo il dato sulla disoccupazione non è per forza negativo, anzi il fatto che 60 mila persone in più siano alla ricerca di un posto di lavoro ben si sposa con il corposo calo (meno 127 mila) degli inattivi, ossia di coloro che non lavoravano e non erano alla ricerca di un lavoro. Il “prezzo” da pagare per la diminuzione degli inattivi è infatti spesso e volentieri l’aumento del tasso di disoccupazione e l’efficienza del mercato del lavoro si misura sull’effettivo triplice travaso di lavoratori lungo il ciclo inattivo-disoccupato-occupato. L’analisi su base mensile, quindi, dice poco dell’effettivo funzionamento o meno del mercato, e tanto meno dell’efficacia delle recenti riforme del lavoro o degli incentivi erogati alle imprese. Oltre a questo l’effetto immediato è quello della confusione che ormai accompagna la diffusione dei dati, a causa della quale nelle ore successive è possibile accostare dichiarazioni e titoli trionfali ad altre apocalittiche.
Per una analisi più stimolante, e che può dirci qualcosa di più solido sulla situazione italiana, è meglio inserire i nuovi dati Istat all’interno degli ultimi dodici mesi. Si nota così come il numero degli occupati sia aumentato di 265 mila unità, principalmente lavoratori a tempo indeterminato, e che il numero degli inattivi è diminuito di oltre 500 mila persone, un risultato non da poco. A ciò s’affianca l’aumento del numero dei disoccupati, circa 100 mila in più rispetto al settembre 2015, a riprova del fatto che nell’ultimo anno la situazione dell’offerta di lavoro non è cambiata particolarmente e che le condizioni del nostro mercato sono ancora quelle di un malato, forse meno grave, ma con i sintomi che conosciamo da decenni.
La conferma può arrivarci andando a scorrere i dati scorporati per classi d’età, dai quali si scopre che i 265 mila occupati in più sono dati da 384 mila nuovi occupati tra gli over 50 e da un calo di 88 mila nella fascia 25-34 anni e di 66 mila in quella 35-49. Dato che sembra essere sostenuto da due dinamiche: da un lato l’effetto della riforma Fornero che allunga il periodo di attività dei lavoratori, aumentando gli occupati nella fascia più anziana, dall’altro l’aumento dell’età media, che fa sì che le fasce centrali riducano il numero dei loro membri.
Queste cifre introducono qualche elemento in più, che rende complesso e prematuro oggi parlare di successo o meno delle recenti riforme, perché esse non sono di certo l’unico driver che ha smosso il mercato del lavoro italiano. Una cosa è certa, la condizione occupazionale degli over 50 oggi in Italia sembra più favorevole di quella dei giovani, nonostante quanto si sarebbe portati a pensare sentendo notizie, spesso ingigantite, sul mondo degli esodati e dintorni (ovviamente senza nulla togliere a chi sta vivendo situazioni di transizione complesse). Allo stesso modo difficile pensare che la soluzione oggi possa essere quella della staffetta generazionale, in un paese il cui tasso di occupazione è fermo al 57,5 per cento e nel quale, quindi, dovrebbero semplicemente lavorare di più i giovani e di più gli anziani.