Paul Krugman (foto LaPresse)

Un Foglio internazionale

Krugman gioca con i soldi altrui

Redazione
Il premio Nobel sostiene che le proposte per “affrontare il presunto problema del debito comportano sempre tagli a lungo termine dei benefit e qualche riluttante aumento di tasse. Tali proposte, cioè, non implicano scelte politiche per l’oggi o per i prossimi 5-10 anni”, scrive EconLog.

 

Il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, sul suo blog, in un post titolato “Debt, Diversione, Distraction”, ha scritto che gli americani, preoccupandosi in questi ultimi anni dei deficit e dei debiti pubblici in aumento, sono stati di fatto sviati e distratti da altre priorità. Secondo David Henderson, uno degli autori del sito liberale EconLog, “il ragionamento di Krugman è fallace”. Innanzitutto non convince la scelta delle fonti compiuta dall’economista liberal: perché prendere i dati del Center on Budget and Policy Priorities (Cbpp) e non quelli “ufficiali” del Congressional Budget Office (Cbo)? Forse perché i primi sostengono che nel 2046 il debito pubblico americano sarà pari al 113 per cento del pil, mentre quelli del Cbo prevedono un debito che arriverà al 146 per cento del pil (15 punti in più di quello italiano oggi, per intenderci). In secondo luogo, Krugman sostiene che le proposte per “affrontare il presunto problema del debito comportano sempre tagli a lungo termine dei benefit e qualche riluttante aumento di tasse. Tali proposte, cioè, non implicano scelte politiche per l’oggi o per i prossimi 5-10 anni”.

 

Perché dunque, si chiede il premio Nobel, “è così importante sollevare oggi il tema, mentre c’è tanto altro che ci dovrebbe preoccupare? Mettiamola così: certo, è possibile che prima o poi nel futuro dovremo ridurre alcuni benefit pubblici. Ma i professorini del deficit blaterano come se ci stessero offrendo una strategia per evitare tale destino, mentre la loro soluzione ai tagli futuri è… tagliare oggi i benefit futuri”. Replica Henderson: “Ma davvero non c’è differenza alcuna tra l’attuare oggi politiche che riducono i benefit tra 10 anni e l’opzione apparentemente preferita da Krugman di aspettare 10 anni e poi tagliare la spesa pubblica immediatamente? Qualsiasi persona che pianifica un po’ il proprio futuro vi dirà invece che la prima opzione ha un grosso vantaggio. Se posso sapere per esempio che la mia pensione tra dieci anni sarà il 20 per cento più bassa di quello che pensavo, potrò giocare già oggi la carta del risparmio. Se invece io sono a conoscenza del fatto che tra 10 anni il governo taglierà all’improvviso le pensioni, ma sono all’oscuro sull’effettività di tale taglio, sulla sua tempistica e sul fatto che possa o meno riguardare anche me stesso, mi risulterà più difficile programmare alcunché”.

 

Krugman sembra contemplare tale potente obiezione, quando scrive che fissare oggi alcune scelte politiche future “potrà rendere la transizione più dolce”, ma poi liquida il tutto come “un tema di secondo piano, che non necessita di essere discusso in maniera approfondita”. Chiosa Henderson quasi incredulo: “Questo sarebbe un tema di secondo piano? Per molte persone che oggi hanno un’età compresa tra i 45 e i 65 anni, invece, pare decisamente importante” sapere per tempo come lo stato deciderà di gestire le finanze pubbliche, e quindi anche le pensioni.

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