Deludenti (con)fusioni bancarie
Scema la frenesia da deal e crescono i dubbi su Mps e Unicredit
Le regole dell’attrazione nell’industria bancaria non sono scontate. L’approvazione del matrimonio tra Banco popolare e Banca popolare di Milano, in ottobre, era vista da alcuni osservatori come l’inizio di una fulminea stagione di fusioni e acquisizioni che avrebbe ridotto la storica sovracapacità produttiva del settore. L’abbrivio pare ora diventato bonaccia. In parte perché la Vigilanza della Banca centrale europea ha posto condizioni severe alla fusione Banco-Bpm – il Banco ha ingoiato un aumento di capitale altrimenti rinviabile – e in questa fase caotica di mercato è difficile che altri istituti accettino simili condizioni. La strategia della Bce è chiara: non ci saranno fusioni che generano istituzioni fragili, come in passato, ma soltanto fusioni efficaci ed efficienti. Ora congiurano contro il consolidamento nazionale diversi fattori. C’è l’incertezza macroeconomica generale e c’è quella regolatoria europea che deriva da un’Unione bancaria zoppa e disfunzionale. C’è soprattutto l’incertezza sul futuro assetto dei principali intermediari in difficoltà: il Monte dei Paschi di Siena e Unicredit. In entrambi i casi il mercato s’è trovato in questi mesi a ricevere notizie gravi, al punto da ritenere che le comunicazioni ricevute in passato non rispondessero al vero.
Mps aveva accordato due aumenti di capitale da 8 miliardi in due anni, ma ha poi dovuto chiamare un altro aumento da 5 miliardi. Unicredit invece è alle prese con un aumento di capitale monstre di cui non si conoscono le esatte dimensioni (20 miliardi, comprese le dismissioni). Sul Monte c’è l’ulteriore alea della riuscita del piano di ricapitalizzazione gestito da JP Morgan in accordo col governo di Matteo Renzi che fa da garante. Se dovesse vincere il No al referendum costituzionale e Renzi dovesse cadere gli investitori chiamati dalla banca americana si ritirerebbero aprendo la prospettiva di un pieno bail-in di Mps. Qualcuno nel cda potrebbe pentirsi di non avere esaminato il piano alternativo di Corrado Passera, secondo il quale Mps, una volta risanata, avrebbe consolidato altre banche. Unicredit invece, secondo rumor, sarebbe nell’orbita della francese Société Générale, presieduta dal fiorentino Lorenzo Bini Smaghi. E’ un’idea vecchia e probabilmente una boutade – gli azionisti francesi non sarebbero felici dell’esborso. Tuttavia se Unicredit, guidata dall’ex SocGen Mustier, ha ceduto le sue attività profittevoli (Bank Pekao, Pioneer, parte di Fineco), e perciò assomiglia a una rete distributiva, la banca francese potrà supplire alle sue carenze produttive. Una cosa oramai pare chiara, vista la gestione emergenziale delle crisi del credito più acute: non c’è una progettualità seria nella ristrutturazione bancaria nazionale. E non è entusiasmante.