Assumere al sud non è propaganda
Una misura che ha fatto bene e di cui il meridione ha bisogno. Punto
Una misura che ha fatto bene e di cui il meridione ha bisogno. Punto
Le imprese che assumeranno giovani o disoccupati nel Mezzogiorno non pagheranno i contributi per il 2017. Il presidente del Consiglio ha ripristinato per il sud la decontribuzione che era stata sperimentata nel 2015 su tutto il territorio nazionale, con esiti positivi sulle assunzioni a tempo indeterminato, che sono stati poi parzialmente corretti al ribasso quando il beneficio è stato ridotto. Ora lo si ripropone per il sud, che non ha ancora recuperato i livelli occupazionali precedenti alla crisi del 2008. E si possono già immaginare le critiche per il carattere – sempre un po’ estemporaneo, l’accusa – delle misure annunciate. Ma in questo caso la scelta pare invece più meditata. Il fatto stesso che sia concentrata su un’area specifica sembra la premessa per una stabilizzazione dei benefici, il fatto che sia rivolta a favorire l’economia produttiva ha anche il senso di una risposta alle tendenze assai diffuse nel meridione dove spesso si preferisce orientarsi a un assistenzialismo generalizzato, accompagnato dall’abbandono del tradizionale meridionalismo produttivista. Invece di chiudere acciaierie e rivendicare redditi di cittadinanza, come fanno il sindaco di Napoli e il presidente della Puglia, Matteo Renzi cerca di stimolare l’impiego dei giovani e dei disoccupati in attività produttive o nei servizi, dimostrando fiducia nella possibilità di estendere e rafforzare i segnali di ripresa nei settori più competitivi delle imprese meridionali o di unità produttive di grandi aziende situate nel sud.
Se tutto questo è una “manovra” pensata in funzione di un vantaggio nella battaglia referendaria, come diranno i sostenitori del No, c’è solo da dire che quando la propaganda riesce a produrre iniziative vantaggiose per il paese, allora viva la propaganda. Al di là degli scherzi, quello che va considerato positivamente è l’avere compreso il difetto di frammentarietà che aveva caratterizzato la gestione del Jobs Act, correggendolo per l’area nazionale nella quale non era riuscito a esercitare la prevista funzione di sblocco delle assunzioni. E’ inevitabile che, in una materia così complessa e con risorse tanto scarse, si vada un po’ a tentoni e si commettano errori, ma è lodevole che, quando questi emergono, si cerchi di correggerli con una certa tempestività. Non ammetterlo sarebbe, questo sì, cattiva propaganda.