L'Europa generatrice di benessere
Perché è da imitare chi ha raccolto la sfida globalizzatrice
La classica retorica europeista non funziona più: quella sulla pace conquistata, quella su un patrimonio ideale comune, eccetera. Meglio forse ricordare, in mezzo alle turbolenze attuali, che il processo comunitario ha contribuito per cinquant’anni a mettere in moto una grande macchina generatrice di benessere. E’ quanto fa, con approccio pragmatico e fattuale, un rapporto appena pubblicato dalla banca spagnola BBVA, firmato da autori “istituzionali” di prestigio come Indermit Gill (direttore delle Politiche per lo sviluppo alle dipendenze del capoeconomista della Banca mondiale), Martin Kaiser (Country director brasiliano per la stessa Banca mondiale) e Naotaka Sugawara (economista al Fondo monetario internazionale).
Tra il 1950 e il 1973, scrivono, i redditi di 100 milioni di europei occidentali si sono allineati rapidamente a quelli degli Stati Uniti. Nei successivi due decenni, altri 100 milioni di cittadini dell’Europa meridionale hanno superato la soglia di un “reddito elevato”. Negli ultimi 25 anni, infine, è toccato agli europei dell’est trarre beneficio da quella che gli autori chiamano la “Macchina della Convergenza europea”. Il chiacchiericcio mediatico-politico rischia di far passare in secondo piano un fatto indiscutibile: “Il commercio e la finanza sono i due elementi del modello economico europeo che sono stati più strettamente legati al raggiungimento di questi obiettivi”. Tanto che nel 2008, quindi alla vigilia della crisi, circa la metà del commercio di beni di tutto il pianeta coinvolgeva in qualche modo il nostro Vecchio continente. Tutto bene, dunque? Nient’affatto. Già prima della recente crisi, osservano gli autori del rapporto, era visibile un calo marcato della produttività in alcuni paesi europei: “Se è vero che Grecia, Italia, Portogallo e Spagna hanno creato molti posti di lavoro tra il 2002 e il 2008, certo è che questi nascevano tutti nell’ambito di attività cicliche, come le costruzioni, o in imprese micro o piccole con bassa produttività”.
L’eccessiva regolamentazione dei mercati dei prodotti e del lavoro sono stati tra le ragioni di questo indietreggiamento, così come il gap di innovazione creatosi con gli Stati Uniti, leader tecnologico del pianeta. Dal 2008, poi, la performance europea è stata pessima nel complesso, osservano gli autori, che si soffermano pure sui non pochi punti deboli dell’attuale governance economica (tra Unione bancaria zoppa, Unione fiscale inesistente, Unione dei capitali inceppata, eccetera). Se si abbandonano i dati aggregati e ci si concentra su quei paesi (come Germania e Spagna) che più hanno apertamente hanno accolto le sfide della globalizzazione (su welfare e lavoro, per esempio), il panorama è più confortante. Da qui si dovrebbe (ri)cominciare per evitare di illuderci sul decimale in più o in meno di spesa pubblica da strappare a Bruxelles e che nulla risolverà nel medio-lungo termine.