Il ceo di Vivendi Arnaud de Puyfontaine

Grandi asset per grandi giochi

Redazione

Insistiamo: “strategico” è un modus operandi, non un distintivo onorifico

Sull’assedio in Borsa della francese Vivendi verso Mediaset, il dibattito pubblico si è polarizzato tra chi dice “lasciamo fare al mercato” e chi al contrario invoca una “difesa strategica dell’italianità” dell’azienda fondata dalla famiglia Berlusconi. Qui ci soffermiamo sul secondo concetto. L’italianità ha un significato inafferrabile: richiama la tutela della specificità, della cultura, della razza – cose che non si trovano nella realtà e soprattutto non esistono quando parliamo di un broadcaster di rilievo europeo come Mediaset. Definire cosa sia “strategico”, termine abusato in politica e nel giornalismo, è ancor più controverso. Può essere strategico un asset, un bene, che non è riproducibile perché magari ha connessioni sistemiche profonde. Così ad esempio lo storico Giulio Sapelli definisce Unicredit, banca in predicato di vedere aumentare il tasso di soci esteri nel suo azionariato con il prossimo aumento monstre che, con ogni probabilità, polverizzerà le fondazioni italiane. Ma allora tutto è specifico, tutto è particolare, tutto è strategico, e quindi niente lo è davvero.

 

 

Tuttavia “strategico” è piuttosto un modus operandi, ovvero fare qualsiasi cosa sia utile e lungimirante per conservare un asset in condizioni tali da garantirne l’esercizio o, se possibile, aumentarne il valore. Vivendi capitalizza in Borsa circa sei volte Mediaset – 23,01 contro 4,8 miliardi di euro. Se si unissero esprimerebbero una potenza, sempre in termini di capitalizzazione, di 27,8 miliardi – appena dietro la Cbs, uno dei più grandi network televisivi degli Stati Uniti, che ne capitalizza 30,4. Vale insomma, in altri termini, il principio sotteso alla Comunità europea, con tutti i difetti d’altra natura che questa ha, ossia: cedere sovranità a volte significa guadagnare sovranità.

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