Obbligazioni trascurate
Poco mercato per le aziende: colpa dello stato e di un clima tetro
Nel 2016 le aziende italiane si sono finanziate sul mercato con obbligazioni per meno di 40 miliardi di euro, cifra in calo rispetto al 2015 e abissalmente più bassa rispetto a Francia (oltre 160 miliardi di corporate bond), Regno Unito (150 miliardi), Germania (130), ma anche di paesi con meno tessuto industriale come Olanda, Spagna, Belgio e Svizzera. Al tempo stesso nelle emissioni di titoli pubblici l’Italia assorbe oltre un terzo di tutta l’Eurozona, per un valore che quest’anno aumenterà a 260 miliardi, tra titoli in scadenza (213) e cedole (47). La sperequazione è evidente: i soli interessi pagati dallo stato italiano superano il capitale delle obbligazioni emesse dalle nostre aziende private. Per di più Btp e Bot sono incentivati da una tassazione favorevole, che riguarda anche i titoli pubblici stranieri e di enti sovranazionali. Questo protezionismo verso il settore pubblico peraltro non è riuscito a convincere le famiglie a finanziare lo stato come un tempo: la quota di titoli pubblici in portafoglio ai privati è scesa dal 7,3 per cento del 2008 al 3,1 del 2015.
Ma anche quella di obbligazioni private è passata dal 14 al 7,8. E il consuntivo 2016 si annuncia in ulteriore discesa, anche a causa del baccano sulle obbligazioni – subordinate e non – presentate spesso dai media come “risparmio tradito”, anziché come fisiologico (e informato) investimento con rischio giustificato dal rendimento. Uno stigma quello affibbiato alle “obbligazioni” del quale stanno facendo le spese anche banche solide come Intesa Sanpaolo, che ha appena collocato con successo un bond da 1,25 miliardi ma al tasso del 7,75 per cento, e Unicredit la cui obbligazione da 500 milioni ha richiesto una cedola del 9,25. E in entrambi i casi si è trattato di collocamenti riservati a investitori istituzionali quali assicurazioni, fondi e altre banche che, a differenza dei piccoli investitori retail, s’avvalgono ovviamente di uno strumento redditizio. E’ evidente che c’è qualcosa che non va se le aziende italiane si finanziano con bond per un quarto o un terzo rispetto alle concorrenti straniere, mentre lo stato vi ricorre per il doppio o il triplo. Una forbice che oltretutto penalizza particolarmente i mini-bond destinati alle piccole e medie imprese, e lascia i progetti governativi di emissioni speciali per i consorzi di microaziende nel catalogo delle belle intenzioni, dimenticate.